Al Trieste Film Festival un comico di nome Cecchelin
Sabato debutta al teatro Miela il documentario sull’attore triestino realizzato dal regista Alessio Bozzer con protagonista Massimo Sangerman
«Presentare Angelo Cecchelin al pubblico di Trieste è superfluo», scrive un giornale della città nel 1924. Perché allora tutti conoscevano l’eroe dell’avanspettacolo triestino, che con la sua compagnia portò il dialetto sui palchi di tutta Italia ma poi, dopo la guerra, finì in polemiche che per alcuni anni hanno fatto dimenticare la sua grandezza.
Una storia di strepitosi successi e di ombre che per la prima volta è raccontata in un documentario, “C’era un comico di nome Cecchelin”, diretto da Alessio Bozzer e prodotto da Videoest, che sarà presentato in anteprima al Trieste Film Festival sabato 18 gennaio alle 18.15 al Teatro Miela. «Cecchelin non era solo uno che raccontava barzellette ma un grandissimo professionista del teatro e una figura emblematica di artista che va contro il potere costituito: prima l’Austria, poi il regio governo, poi il fascismo», dice il regista.
Il film, con l’attore Massimo Sangermano nel ruolo di cantore e le testimonianze anche di Guido Cecchelin, figlio di Angelo e dell’attrice Jole Silvani, e di attori che si sono formati anche sulla sua tradizione, da Ariella Reggio a Paolo Rossi, ripercorre la vita dell’artista legata a filo doppio a Città Vecchia.
«Fora de Cità Vecia no respiro», diceva Angelo, nato in Androna del Pane nel 1894 e cresciuto in via di Donota tra la “muleria” e gli ubriachi delle osterie. Dal 1916, ai suoi inizi, Cecchelin conquista subito il cuore dei concittadini andando ovunque tra la gente, negli spettacoli di beneficenza, nei ricreatori, al teatrino di quello che all’epoca era il manicomio di San Giovanni. Ascoltando anche la vera voce di Cecchelin anche se, dice Bozzer, «non esistono riprese registrate live di Cecchelin. Un tempo l’avanspettacolo era considerato spettacolo di serie B, non degno di essere registrato. Quelle che sentiamo nel film sono incisioni che registrava e pubblicava con la Columbia. Negli anni ’60-’70 sono anche usciti in 45 giri. Oggi queste incisioni sono state rimasterizzate e trasformate in cd dal negozio Record di via Diaz a Trieste».
Il film c’immerge nella Trieste di cent’anni fa, «un mondo diverso. Quando ha iniziato Cecchelin non esisteva neanche la radio, la performance dal vivo era l’unica forma di intrattenimento. Ha iniziato in teatro, tra il cambio di una bobina e l’altra del film. Cecchelin è stato geniale perché, come Verdone nei suoi primi film, ha inventato personaggi che diventavano popolarissimi per il suo pubblico». Gli spunti li prendeva dalla strada: nascevano così il “Portinaio”, o “El mulo Carleto”, o la “Cameriera poco pratica”. Accanto a lui c’era sempre Jole Silvani, l’attrice che poi lavorerà con Fellini in “Cabiria” e “La città delle donne” e che sarà sua compagna di vita. «Dall’avanspettacolo, però, Cecchelin è diventato un vero e proprio commediografo con la sua compagnia La Triestinissima. È diventato un capocomico che portava le sue commedie in tutta Italia».
Non a caso il suo impresario era Olimpio Lovrich, il nonno di Giorgio Strehler. E Angelo, precisissimo grafomane, fu biografo di se stesso: tenne conto di tutte le sue migliaia di rappresentazioni conservando il materiale giornalistico, le pubblicità, anche alcuni biglietti rimasti oggi alla famiglia Cecchelin e che vediamo nel film mostrati dall’attore Alessio Colautti, marito di Giorgia, la nipote di Cecchelin, che prosegue la tradizione di quel repertorio.
Cecchelin però fu anche una figura discussa per due motivi, spiega Bozzer: «Una sorta di snobismo di una certa parte della cultura teatrale che vedeva in lui l’artista di serie B capace solo di comicità popolare, e l’ombra per due accuse pesanti: una di plagio, e l’altra di ricatto a fine di estorsione. La seconda accusa è stata cancellata perché il fatto non sussiste, per il plagio l’accusa mossa a Cecchelin era di aver denunciato nel 1946 al Comando partigiano il collega Nino D’Artena come collaborazionista del nazifascismo. D’Artena finì poi infoibato. Ma è incredibile come Cecchelin sia stato messo in mezzo in un processo per uccisioni nelle foibe per aver denunciato una persona che, dai documenti esistenti, era già noto come collaborazionista. Fece due anni in carcere. Non è stato facile trattare questo tema nel film: meriterebbe un altro film di stampo giudiziario. Ma ho voluto porre il problema nel film, e magari aprire uno spiraglio per cercare chiarezza».
Restano le ombre, ma anche un’eredità importante: «Tra gli altri l’ha raccolta l’attore Renato Sarti, nato a Trieste ma milanese d’adozione, che ha scritto l’unico libro su Cecchelin. Alla presentazione, nel 1994, vediamo Giorgio Strehler recitare i suoi testi. E Paolo Rossi mi ha detto che i suoi pilastri sono Cecchelin e Lenny Bruce. Con questo film volevo far conoscere meglio i suoi meriti, in particolare aver portato avanti e pagato sulla sua pelle un’idea di satira e comicità contro il potere». —
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