“Amene e dolci colline” dell’Istria al tempo dell’Impero fra siccità, fatica e miseria

Nel suo nuovo libro edito da Comunicarte Diana De Rosa lavorando sulle carte d’archivio ricostruisce la prima mappatura capillare compiuta dal governo austriaco nella penisola
TRIESTE Era stato un incarico durissimo quello della decina di commissari impegnati a stilare un rapporto dettagliato dei territori dell’Istria, e se ne rese ben conto l’Imperial regio governo asburgico che li premiò per l’impegno profuso con una pioggia di onorificenze. Finalmente la laboriosa compilazione, svolta tra il 1818 e il 1829, è raccolta nel libro in uscita in questi giorni dalla storica Diana De Rosa in “Amene e dolci colline” (Comunicarte, pagg. 304, euro 29) recuperando negli archivi triestini i rapporti di quel decennio, manoscritti con calligrafie svolazzanti, vergati su carta spessa, adatta a durare nel tempo.
 
È la prima rilevazione in assoluto che interessa la terra d’Istria, sottoposta a una mappatura capillare dalle regole uniformi nell’intera monarchia asburgica che vuole avere chiare le idee sui suoi possedimenti. Per i commissari si tratta di applicare il famoso catasto franceschino, stabilito con patente sovrana dal 23 dicembre 1817. Detto fatto, l’anno successivo la macchina è già al lavoro. Sono funzionari di vaglia, esaminati da una corte creata ad hoc, “motivati” si direbbe oggi, e irreprensibili, ma nel cui petto batte pur sempre un cuore. Se le relazioni hanno uno schema predefinito, c’è anche chi aggiungerà qualche notazione più personale che ammorbidisce il formulario, colpito dalle asprezza della vita dei plebei e ammaliato dall’incanto dei luoghi, da scorci del paesaggio che si apre sul mare. Devono muoversi speditamente, stabilire buone relazioni con le nobili casate locali, i religiosi di chiese e monasteri, i podestà. Avere predisposizione a trattare, ma anche valutare a colpo d’occhio i terreni, le strade, i corsi d’acqua, le rendite che ne derivano o potenziali, non impelagarsi in contenziosi confinari con le varie comunità. E non farsi infinocchiare: “Il sottoscritto à prevenuto gl’intervenuti che il catasto avendo per unico scopo una giusta ed equa ripartizione dei pesi pubblici, li ha quindi esortati di soccorrerlo ed a non voler macchiare il loro onore e la loro coscienza, suggerendogli dei dati falsi” ammonisce nel 1825 uno di essi le autorità di Materada.
 
Da Muggia a Capodistria, da Rovigno a Pisino, da Pola a Cherso da Lussin Piccolo a Veglia… tutto ormai fa parte del Kustenland, il Litorale Austriaco, nel 1825 suddiviso amministrativamente in Circolo di Gorizia e Circolo dell’Istria, mentre Trieste fa parte a sè. Dopo il convulso periodo napoleonico, l’Istria, unitamente al Veneto e alla Dalmazia, con la Pace di Parigi e il Congresso di Vienna, era stata assegnata alla corona austriaca. Il Veneto ha perduto l’indipendenza e staccato dall’Istria è aggregato al regno Lombardo-veneto.
 
Più avanti nasceranno le note spiacevolezze dall’aver ignorato la lingua e le tradizioni del luogo sostituendoli con delegati stranieri e iniettando elementi non autoctoni, imponendo la “modernizzazione” di un regime rigidamente burocratico che prevede un legame diretto dei sudditi all’Imperatore, a cui si deve fedeltà. Ma il fenomeno dell’irridentismo è ancora di là a venire, anche se nella prima metà del secolo c’è da parte del governo austriaco un tentativo di germanizzazione del Litorale, con l’imposizione della lingua tedesca nelle scuole medie e superiori. Per ora i funzionari degli Anni 10 addetti al catasto hanno solo a che fare con i potentati locali e con l’analfabetismo dei contadini. In quelle zolle di terra che percorrono, misurano con agrimensori al seguito, soppesano, censiscono umani e animali - inventariano le ricchezze, ma meglio dire la povertà di un’economia di sussistenza.
 
A parte le città maggiori come Pisino, Rovigno e Pola ecc., di cui si conservano vestigia romane e tratti venezianizzanti, nell’interno è emblematico il povero Rozzo con un sedicente castello, tra i 7 di questa regione, in sostanza un agglomerato di case cinte da mura cadenti e le rovine di 4 torri. Un disfacimento speculare alla vita agra della popolazione. Pochissime mucche, buoi, asini, al punto di doversi talvolta prestare le bestie da traino o da soma; pochi porci, scarso pollame, molte pecore, una terra rossa arida, sassosa, strappata dai venti boreali. Le decime strappate dai possidenti. Torrentelli e fiumiciattoli avari o vendicativi. Siccità, legname di cattiva sorta, carrettere che la miseria non consente di trasformare in strade per incrementare i traffici. Buon olio, buon vino, che chi è più prossimo ai centri più ricchi vende, tenendo per proprio consumo quello infimo. Ai commissari non sfugge che nell’aspetto macilento e nella pelle giallastra si colgono i segni della fatica e delle febbri intermittenti che sfiancano le comunità sottonutrite. Il rapporto maschi/femmine è equilibrato, ma nonostante la laboriosità ovunque rilevata sono incatenati al medioevo.
 
La bella cartografia acquerellata riprodotta nel libro, suona quasi come una denuncia di ciò che è, uno “sminuzzamento” - scrive un commissario - di particelle di campi arativi nudi e pascoli, e di ciò potrebbe essere, facendo convivere in appezzamenti gli orti, i boschi, i vigneti, gli uliveti, per dare un valore alla qualità dei prodotti e incrementare il commercio. Eppure nello sguardo dei burocrati, preposti a redigere una relazione asettica e obiettiva, resterà impressa una visione ondeggiante come le acque del mare Adriatico su cui si alzano e abbassano come flutti le “amene e dolci colline”. —
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo