Alla Bartoli due lingue raccontano la città in guerra
TRIESTE. Dopo le due settimane che hanno visto in scena, al Ridotto del Teatro Sloveno, “Trieste una città in guerra / Trst, mesto v vojni”, altre 19 repliche dello spettacolo sono previste nella Sala Bartoli del Rossetti da martedì 2 fino al 22 dicembre (alle 21; le domeniche alle 17, sempre con doppia sopratitolazione). È un traguardo dal significato speciale, e in altri tempi impensabile, questo che incrocia due lingue, due autori (Carlo Tolazzi e Marko Sosi›), due enti di produzione (il Teatro Stabile Fvg e Stabile Sloveno) sollecitati e convinti da un’idea iniziale a «dare un’immagine, non scontata, non retorica, non banale», di questa città e delle vicende che la investirono all’inizio della prima guerra mondiale.
L’idea di partenza va riconosciuta tutta alla Casa del Lavoratore Teatrale, l’associazione di attori nata nel 2013, che già allora si presentava al pubblico proponendo di rileggere la Trieste 1914, ritrovando le radici della sua multiculturalità e del suo plurilinguismo. «Avevamo pensato che le tre lingue della Trieste di allora - l’italiano, lo sloveno, il tedesco – dovessero incontrarsi in uno spettacolo che sentivamo indispensabile, mentre si avvicinava la scadenza del centenario», ricorda Maurizio Zacchigna che con i suoi colleghi, fondatori della Casa del Lavoratore Teatrale, fa parte del cast plurinazionale di “Trieste, una città in guerra”. «Ragioni di tempo, soprattutto, hanno fatto sì che il coinvolgimento di autori austriaci diventasse troppo complicato, e ci soddisfa comunque l’opzione di affidare a Sosi› e Tolazzi questo nostro auspicio: senza limitazioni, senza prescrizioni, lasciando che uno scrittore sloveno e uno italiano, decidessero autonomamente il taglio, le atmosfere, i personaggi, attraverso i quali raccontare la città sul filo di lama del conflitto».
I fatti di Sarajevo e il precipizio delle conseguenze movimentarono a Trieste un tessuto fitto, complicato, «e agli occhi odierni, inedito e affascinante», in cui si confrontavano e si opponevano città e periferia, borghesia e proletariato, idiomi e culture diverse e inoltre vicende personali, convinzioni politiche, condizioni economiche. Da quell’idea sono nati i due lavori, “Come nel sonno” (di Sosic e “Il pane dell’attesa” (di Tolazzi). Fonderli è stato il compito del regista Igor Pison, a proprio agio anche nel trilinguismo, dopo il diploma all’accademia di Monaco di Baviera. Spiega Pison: «Celebrare, ricordare, va bene. Ma perché non porre davanti allo spettatore anche l’idea che la guerra, la sua insensatezza, ci investono direttamente anche oggi. La tristezza di Sibelius e la voce di Sinéad O’Connor mi sono stati d’aiuto, musicalmente, per affrontare la Storia intesa come documento, ma anche come richiesta, oggi, di un più intimo silenzio».
Le repliche alla Bartoli sono affiancate da una serie di incontri volti ad approfondire quei momenti, proprio dal punto di vista storico. Oggi in particolare, al Caffè Rossetti (ore 17.30) a parlare di “Trieste, una città in guerra”, moderati dalla studiosa Marta Verginella, saranno lo stesso Pison, la dramaturga Eva Kraševec e lo storico Fabio Todero, che ha collaborato come consulente al progetto. A un altro incontro, previsto venerdì 12 (ore 17.30) parteciperà l’intero cast (gli attori della Casa del Lavoratore Teatrale e quelli della compagnia stabile del Ssg), assieme al regista e al costumista Igor Pahor.
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