Zingaretti: «Mi interrogo sull’essere umano»

Al Rossetti, debutta “La torre d’avorio” di Harwood: l’interrogatorio di Furtwängler sulle connivenze col nazismo
Di Maria Cristina Vilardo

«Sono molto contento di venire a Trieste, perché è una città che amo profondamente, misteriosa, che non ho ancora penetrato, ma che esercita su di me un fascino antico». Luca Zingaretti ritornerà con Massimo de Francovich, protagonisti del testo di Ronald Harwood “La torre d’avorio”, di cui lui stesso ha curato la regia.

Debutterà mercoledì alle 20.30 al Politeama Rossetti, dove verrà replicato fino al 15 dicembre. Gli altri interpreti sono Paolo Briguglia, Gianluigi Fogacci, Francesca Ciocchetti e Caterina Gramaglia.

Il titolo originale della commedia di Harwood è “Taking Sides”, schierarsi, perché il tema è l’inchiesta cui gli americani sottoposero il grande direttore d’orchestra tedesco Wilhelm Furtwängler per accertare sue eventuali connivenze con il partito nazista.

«Da una parte - spiega Luca Zingaretti - c’è Furtwängler, che era un esponente della cultura mitteleuropea, una specie di semi-dio in un paese come la Germania dove la musica era venerata, e dall’altra parte c’è un maggiore americano rozzo e ignorante, come solo alcuni americani di provincia sanno essere, che pensa che il mondo gira intorno ai soldi, alle donne, al mangiare e al bere. Tra queste due visioni opposte della vita c’è un abisso, ed è lì che attendono i conflitti. In mezzo c’è un giovane tenente americano, nato in Germania, i cui genitori ebrei morirono in un campo di concentramento. Perciò vuole punire i nazisti, ma solo a patto che si riesca a trovare delle prove concrete. Per cui pensa che l’interrogato debba essere trattato in un certo modo, laddove invece l’americano rozzo usa dei metodi non del tutto consoni alla situazione. A un certo punto il ragazzo non ci starà più a questo gioco e prenderà una posizione».

Perché ha voluto mettere in scena “La torre d’avorio”?

«L’ho scelto innanzi tutto perché è un testo di una potenza incredibile, con una costruzione drammaturgica strordinaria. È un’occasione per parlare più in generale dell’intellettuale nella società, ma è un discorso tra un pensiero forte e un pensiero debole che ha a che fare con tutti noi. L’essere umano che cos’è? È qualcuno che risponde principalmente o del tutto ai suoi istinti, oppure è un essere vivente che è “umano” proprio in quanto riesce a distaccarsi da questi istinti grazie alla corteccia cerebrale, che gli permette di elevarsi e di godere la vita in senso più pieno? La cosa bella, la cosa che mi fa più piacere è che lo spettatore si appassiona e viene in camerino dicendo: “Vado a casa con un conflitto nel cuore, ossia che cosa avrei fatto io? Chi aveva ragione?”».

Lei è direttore artistico della Festa del Documentario “Hai visto mai” di Cortona, dedicato a inediti italiani su temi sociali e di costume. Cosa le piace del documentario come forma espressiva?

«Me lo sono inventato, questo festival, ed è cresciuto moltissimo negli anni perché la gente che è passata gli ha portato lustro. Abbiamo fatto delle cose molto belle, conquistando la stima di chi fa questo mestiere e del pubblico che ci viene a vedere. Il documentario è un genere che ha un grande futuro e una grande importanza perché, in un mondo che va sempre più veloce e in cui lo spazio temporale tra il fatto che accade e la notizia che se ne dà è brevissimo, c’è bisogno di un momento di riappropriazione dell’approfondimento della notizia stessa e anche della verifica delle fonti. Il documentario, secondo me, svolge benissimo questa funzione».

A che punto è il film che vuol girare come regista?

«Non ne voglio parlare perché lo sto ancora scrivendo. Quando finirò la tournée, farò un film con Edoardo De Angelis, sarà la sua opera seconda. È la storia di un avvocato che ha un po’ perso gusto alla vita e lo ritrova suo malgrado, perché deve combattere una battaglia privata molto importante. La storia di un uomo perbene che in questi anni verrebbe definito un perdente perché non fa niente per correre dietro ai “must” della vita, il sesso e il denaro, invece poi è un vincente proprio perché non fa questo. È un film a cui tengo moltissimo».

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