Zagabria fa rotta sull’euro via la kuna entro 5 anni

La Banca nazionale ha messo a punto la strategia. Il governo vuole approfittare della crescita economica in atto: secondo l’Ue il Pil salirà quest’anno del 3,1%

ZAGABRIA. Le voci circolavano da mesi, ora diventano più frequenti e indicano la probabilissima rotta. Rotta che è quella dell’ingresso della Croazia nell’Eurozona - o almeno di un serio tentativo in questo senso -: una prospettiva che sta diventando sempre più concreta. A confermarlo sono stati i media di Zagabria, in testa il quotidiano Vecernji List, che ha rivelato che la Banca nazionale croata ha ormai pronta una strategia - da aprire al dibattito pubblico - per l’introduzione dell’euro in Croazia, in sostituzione della kuna. L’obiettivo è quello di riporre nel cassetto la moneta nazionale per sostituirla con quella unica europea intorno al 2022. Una strategia, ha scritto il giornale, che include sia «i benefici» dell’euro per Zagabria, sia «i possibili rischi» dell’abbandono della kuna. E che sarà resa nota alla fine del mese dalla Banca, di concerto con il premier croato, Andrej Plenković. Era stato proprio Plenković a far capire di recente di immaginare la Croazia integrata nell’Eurozona, in tempi relativamente brevi. «Stiamo convergendo nella direzione del soddisfacimento dei criteri di Maastricht, specialmente per quanto riguarda la riduzione del debito», la sfida maggiore per la Croazia, oggi intorno all’84% del Pil, ma in calo, ha detto Plenković in settembre a Tallinn. «Voglio approfittare di questa tendenza quando abbiamo una crescita economica», ha aggiunto il primo ministro - facendo riferimento al Pil, che secondo la Commissione europea crescerà quest’anno del 3,1%.

Il quadro favorevole è completato da altri fattori, come «bassi deficit e disoccupazione», fondamentali «per lanciare le attività che ci porteranno prima nel 2020 nell’Erm II», la “sala d’attesa” per i Paesi in procinto di adottare l’euro. E poi a utilizzare la moneta unica «un paio d’anni dopo». Zagabria vuole anche sfruttare il vento a favore della chiusura della procedura d’infrazione Ue nei suoi confronti, decisa l’anno scorso dopo che il deficit è stato riportato al di sotto del limite del 3%.

L’entrata nel meccanismo Erm II ha conseguenze importanti. Questo perché “costringe” i Paesi che vogliono adottare l’euro a politiche macroeconomiche rispettose di Maastricht, ma soprattutto obbliga alla stabilità dei tassi di cambio tra euro e valute in via di pensionamento. L’ultimo Paese Ue a essere passato per l’Erm II prima di adottare l’euro era stata la Slovacchia, entrata nell’Eurozona nel 2009.

Ma la società croata vuole l’euro? La Croazia come nazione «è ben pronta», dice al Piccolo il politologo Zarko Puhovski: «Praticamente tutti già pensano, comprano e vendono in euro. Quando si sfoglia un giornale o si accede a Internet, metà degli annunci di vendita di auto di seconda mano, case, mobili è già in euro», spiega. E i croati guardano in modo positivo all’euro, come hanno svelato sondaggi in passato, anche perché «sono abituati ormai a usare l’euro come unità di misura e anche perché una minoranza, non piccola, non ha mai accettato il termine “kuna”, perché in uso ai tempi del regime ustascia. E gente come me dice che quanto prima ce ne liberiamo tanto meglio». «La società è pronta - chiosa Puhovski - se le finanze pubbliche lo sono è una domanda da porre agli economisti». Economisti come Velimir Sonje. «Il 2022 è una data molto ottimistica», esordisce Sonje. Ma le date, per la Croazia, non sono fondamentali. Importante è invece «entrare nella sala d’attesa» per l’euro, fare il percorso giusto «invece che stare sospesi in un limbo». Ciò significa «disciplina fiscale, riforme strutturali, buone politiche di cui la Croazia ha bisogno per modernizzare la sua economia e renderla strutturalmente più competitiva». Croazia, ricorda Sonje, che è un’economia «piccola e aperta», molto simile ad altre cinque europee che «hanno adottato l’euro, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lituania e Lettonia. Deve seguire quella linea, tenendo a mente che nessuno di quei Paesi ha rimpianto l’adozione dell’euro, malgrado la crisi post-2008».

 

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