Vukovar ancora assediata dal passato
di Mauro Manzin
TRIESTE
Vukovar 20 anni dopo. La Stalingrado dei Balcani ha celebrato ieri i vent’anni della sua caduta in mani serbe. E per la città martire della Croazia è stato lo sciorinare di una oramai ben conosciuta e odiata litania: quella dei politici croati che sono accorsi in massa (quest’anno poi ci sono le elezioni il 4 dicembre) per sentirsi per alcune ore i più croati dei croati. Assieme a loro scolaresche, gite organizzate e turismo di guerra. Tutti a Vukovar come i musulmani alla Mecca, tutti a ritrovare le radici più profonde della propria croaticità.
È il giorno in cui i serbi di Vukovar non escono di casa. È il giorno in cui chi lavora nelle fabbriche (poche invero) e beve assieme nei bar riscopre il proprio “altro”, il diverso, il nemico. «Undici mesi all’anno viviamo senza problemi - spiega Jovan Ajdukovic consigliere del sindaco della municipalità di Vukovar-Srjem - , sediamo, beviamo un bicchiere, chiacchieriamo e ci aiutiamo. Un mese all’anno però nessuno sopporta l’altro. Questo è quel mese quando qualcosa confonde tutto, quando ci si fronteggia. In questo periodo io consiglio sempre ai serbi di rimanere a casa. Qui si riversa l’intera Croazia. Qui qualcuno viene a curare le proprie frustrazioni. Durante questo mese c’è la guerra. Si disprezza tutto quello che non è croato. Sono parole pesanti lo so - conclude - ma è la pura verità».
La Vukovar silenziosa non ce la fa più. È stufa di promesse, è stufa di celebrazioni. È stufa degli ultranazionalisti che esibiscono la targa Vukovar sull’automobile per sentirsi una sorta di super-croati. Vukovar vuole fatti per rinascere, finalmente, per abbattere quell’invisibile muro che ancora separa serbi e croati. «Hanno la bocca piena di Vukovar - sbotta il sindaco della città, il socialdemocratico Zelko Sabo - parlano della città simbolo, degli eroi. Questo governo da otto anni dice una cosa e poi ne fa un’altra». «Vukovar è oggi la città più sicura della Croazia - precisa - dopo la reintegrazione pacifica non c’è stato nessun atto di vendetta legato alla guerra, non c’è criminalità, non c’è contrabbando pur essendo una città di frontiera».
Vukovar la fiera vuole rinascere. Ad oggi è rientrato solo il 65% dei rifugiati. Chi se ne è andato ha ricostruito la sua vita altrove. Del resto quelli che sono tornati vivono quasi tutti solo grazie agli aiuti sociali. Qui non c’è lavoro, non c’è economia, non c’è futuro anche se il sindaco è pronto a scommettere il contrario e accusa ancora una volta il governo di aver insabbiato ben due grossi investimenti esteri destinati alla città martire. Qui il presidente serbo Boris Tadic ha reso omaggio alle vittime croate. Un evento storico, dicono a Vukovar, che ha lanciato un chiaro messaggio: che a Vukovar non c’è più la guerra, che la città non è divisa, che tra Croazia e Serbia i rapporti sono amichevoli. Giovedì non c’era nessuno a Ovcari, il luogo dove i serbi hanno trucidato 264 civili e militari feriti prelevandoli dall’ospedale di Vukovar. Al cimitero solo alcune troupé televisive. Su tutto la silenziosa quotidianità del dolore e del ricordo. Violata ieri dalle urla dei politici affamati di voti.
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