Volontari serbi e croati divisi sul fronte ucraino

I primi lottano con i separatisti russi mentre i secondi aiutano l’esercito regolare. In prima linea non mancano gli ex membri dell’esercito di liberazione kosovaro
Un gruppo di volontari croati partiti per il fronte ucraino
Un gruppo di volontari croati partiti per il fronte ucraino

Sono cresciuti sperimentando sulla propria pelle le guerre nell’ex Jugoslavia e, in qualche caso, perfino combattendole sulla linea del fronte. Continuano a sentire l’attrazione delle pallottole e delle granate che hanno visto solo in Tv o che direttamente conoscono. Forse rispondono solo al richiamo dei soldi. Sono i mercenari balcanici – o volontari, come spesso si definiscono - partiti per combattere in Ucraina. Su fronti opposti.
L’ultima conferma dell’esistenza di un filo rosso che lega Balcani e Ucraina è arrivata ieri dalla vicepremier e ministro degli Esteri di Zagabria, Vesna Pusic, che ha attestato che ci sono «croati che combattono nelle file dell’esercito» regolare di Kiev. Per ora, non ne risulterebbero altri inseriti in formazioni paramilitari. Parole, quelle della Pusic, che in parte corroborano le notizie comparse nei giorni scorsi su alcuni media locali, in testa il portale Sloboda.hr. Portale che aveva raccontato di aver incontrato una ventina di croati prima della loro partenza alla volta dell’Ucraina, giovani sui vent’anni, ma tra loro c’erano anche 40-45enni, sul curriculum «la guerra patriottica e missioni all’estero».
In un «bar fumoso» di Zagabria, alcuni già con indosso la mimetica, avevano spiegato di essere pronti a dare una mano a Kiev «contro l’aggressione russa». Aggressione identica a quella sferrata da Belgrado contro la Croazia, ha precisato il leader del gruppo, tale Denis S., che ha poi rivelato che i croati saranno inquadrati nientemeno che nell’Azov, battaglione d’élite formato da volontari, con esplicite connotazioni ultranazionalistiche e di estrema destra, dove sarebbero già in forza una decina di suoi connazionali.
Croati che teoricamente potrebbero trovarsi in una situazione paradossale. Poco più a nord di Mariupol, a Donetsk, si battono – sul fronte opposto - anche altri paramilitari balcanici. In questo caso sono serbi, di nuovo nemici. Difficile reperire dati aggiornati sul numero di cittadini con passaporto di Belgrado attualmente attivi nelle file dei separatisti filorussi. Uniche certezze, la cinquantina di “cetnici” sicuramente operativi in Crimea nella primavera del 2014, comandati dal barbuto Bratislav Zivkovic. Alcuni si sarebbero poi trasferiti in armi nell’Ucraina orientale. Ed è certa anche la presenza di un pugno di «combattenti serbi all’aeroporto di Donetsk» durante l’ultima battaglia all’aeroscalo, questo il titolo di un video postato il 30 gennaio su YouTube. Tra di loro, il serbo Dejan, che fa il saluto con le tre dita, chiede «libertà per tutti i nostri fratelli ortodossi». In testa, un basco simile a quello dei famigerati “berretti rossi” serbi, unità smantellata da Belgrado dopo l’assassinio del premier Djindjic.
Ma in Ucraina non combattono solo serbi e croati. Secondo l’agenzia Itar-Tass, fra i «circa 200 mercenari balcanici che combattono con le truppe di Kiev» ci sarebbero «anche ex membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo». E l’intera famiglia ex jugoslava è quasi al completo. Ma attenzione. Il fenomeno, se simbolicamente colpisce, numericamente non appare però significativo. «In tutte le guerre ci sono combattenti che guerreggiano per denaro o per spirito d’avventura», è accaduto anche nell’ex Jugoslavia, ricorda al “Piccolo” l’esperto di sicurezza Zoran Dragisic. Alla fine degli Anni Novanta, altri mercenari balcanici, «in gran parte veterani della guerra», avevano partecipato «a diversi conflitti in Africa», aggiunge l’analista. Altri esperti, come Blerim Reka, hanno richiamato di recente il caso dei “Rambo dei Balcani”, riferendo di serbi assoldati da Assad e da Gheddafi e di albanesi ingaggiati dall’Ucraina.
Ucraina che appunto non fa eccezione, «con il battaglione Azov che comprende circa 500 stranieri», soprattutto mercenari, e anche sul fronte russo il quadro «è identico», chiarisce Dragisic. Ma chi arriva dai Balcani è uno sparuto gruppo, che si può stimare in «venti-trenta croati», forse una dozzina «di serbi». E i reduci del conflitto jugoslavo sarebbero una minoranza nella minoranza. «Troppo vecchi», oggi si limitano «a fare gli addestratori», un lavoro pagato meglio dei 1.200-6.000 dollari che riceverebbero in base al loro ruolo i mercenari, secondo una stima del premier di Belgrado, Vucic.
Belgrado dove tanti di essi sono rientrati in tutta fretta nei mesi scorsi dopo che la Serbia – come altre nazioni dell’area - ha approvato leggi che puniscono con anni di carcere chi va a combattere all’estero. Leggi però che sono state adottate, chiosa Dragisic, non tanto per punire chi è andato a guerreggiare in Ucraina. Ma per le centinaia che da Serbia, Kosovo e Bosnia sono espatriati per rimpolpare le file dello Stato Islamico. Sono loro, chiosa Dragisic, «il pericolo vero».
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