Vincolato il Caravaggio “triestino”

Dopo 12 anni il Tar dà ragione alla Soprintendenza: l’opera del conte Muratti è autentica e non può essere venduta
Il quadro "Incredulità di San Tommaso"
Il quadro "Incredulità di San Tommaso"

Dopo oltre dodici anni i giudici del Tribunale amministrativo regionale hanno ritenuto legittimo il vincolo posto dalla Soprintendenza sulla caravaggesca “Incredulità di San Tommaso” stimata la bellezza di venti milioni di euro. Si tratta di un olio su tela ce misura 118 per 156,5 centimetri e che abbelliva un salone dell’appartamento occupato, sulle Rive, dal conte Gracco Muratti, originario di Buttrio.

Il quadro, attribuito a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, secondo il Tar, è stato legittimamente sottoposto a vincolo in forza del decreto di “dichiarazione d’interesse artistico e storico particolarmente importante”.

Il collegio ha rigettato il ricorso proposto prima dal conte Gracco Muratti e quindi dai figli ed eredi. La relazione allegata al decreto della Soprintendenza, per i ricorrenti, riteneva il dipinto una copia coeva all’originale ovvero parzialmente autografa, mentre la motivazione del provvedimento impugnato, “con palese contraddittorietà”, lo qualificava “copia antica di quadro del Caravaggio”, e non giustificava, quindi il vincolo apposto.

Non aveva, poi, rilievo il fatto che il quadro assumesse comunque particolare valore nel contesto triestino, povero di testimonianze extraregionali, dovendo la rilevanza storico-artistica “essere assoluta e non relativa a un contesto determinato”.

Per il Tar, tuttavia, il rilievo dato al quadro dalla Soprintendenza è legittimo e in tal senso cita le opinioni emerse nel lungo contenzioso: da copia del dipinto di probabile attribuzione a uno dei primi discepoli del Caravaggio (probabilmente Prospero Orsi, ovvero, meno verosimilmente, Bartolomeo Manfredi), fino alle relazioni che ne sostengono la natura di autografo del Caravaggio.

«Sul fatto che si tratti di opera di pregio, quanto meno sotto il profilo venale - conclude il Tar - “concordava”, del resto, lo stesso Gracco Muratti, che, nel testamento olografo del 2005, si proponeva di ricavare dalla sua vendita somme ingenti a compensazione di debiti ereditari e dei numerosi legati».

Un’opera che il conte aveva iniziato a mettere in vendita ancora nel 1986: non solo nessuna trattativa si era perfezionata, ma il quadro era stato posto sotto sequestro dall’allora pm di Trieste Luca Fadda. Il magistrato riteneva che fosse stato violato l’articolo 127 del Testo unico sui beni artistici che punisce “chiunque pone in commercio beni contraffati, alterati o riprodotti”. In altri termini, secondo l’accusa, il quadro non era opera di Caravaggio.

L’esito del processo aveva rovesciato questa impostazione. Il giudice Paolo Vascotto aveva assolto con la formula più ampia il conte Muratti e indirettamente aveva riconosciuto che Caravaggio era l’autore dell’opera o almeno di una sua parte preponderante. Determinante si era rivelata all’epoca la consulenza del professor Maurizio Marini, già docente di Storia dell’arte all’università “La Sapienza” di Roma. Nella relazione Marini aveva scritto «che il dipinto può reputarsi una replica dell’originale ex Giustiniani, condotta per una diversa committenza dal Caravaggio cui, ovviamente, spettano l’invenzione generale e il Cristo, nonchè alcune riprese in quella di San Tommaso. A un aiuto non identificabile vanno invece ascritte le due figure di sfondo e il resto della stesura».

La sentenza del tribunale di Trieste dice dunque che è stato proprio il Caravaggio a dipingere gran parte del quadro legittimando il vincolo della Soprintendenza. Si tratta di una replica, con differenze impercettibili, con l’analogo dipinto esposto alla Bildergalerie di Postdam, nei pressi di Berlino. Va aggiunto che il quadro, o meglio un buon numero di sue fotografie realizzate nello studio triestino di Adriano de Rota, erano state inviate a Londra dalla famiglia. Scopo dichiarato quello di sondare gli esperti in previsione di una vendita.

Michale Helson, assistente conservatore, della National Gallery aveva affermato «che potrebbe essere autentico». Mr Johnson, esperto di Sothesby’s, al contrario aveva giudicato il dipinto «probabilmente una copia». A credere all’attribuzione a Caravaggio anche il famoso critico d’arte italiano Vittorio Sgarbi.

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