Verdi “penultimo” teatro d’opera in Italia

Trieste al fondo della classifica di “Classic Voice” davanti solo al Petruzzelli. È l’unica realtà con gli abbonati in calo
Di Fabio Dorigo

La Cenerentola nell’anno del bicentenario di Verdi. E Rossini stavolta non c’entra. Il teatro comunale di Trieste è relegato in fondo alla classifica dei teatri d’opera stilata, come ogni anno, dal mensile “Classic Voice”. Un “toto Opera” in cui il Verdi sta messo peggio della Triestina. Un tracollo lirico. Penultimo solo grazie alla maglia nera dell’inclassificabile Petruzzelli di Bari, da poco rientrato nel giro della lirica, che non ha quasi organico e la cui proprietà è ancora in mano ai privati. Entrambi sono teatri commissariati. Davanti a loro, al terz’ultimo posto c’è il glorioso Maggio Fiorentino che sconta un passivo record (8milioni e 300mila euro) e i ritardi nella realizzazione del nuovo teatro (inaugurato solo parzialmente). Il Verdi di Trieste è stabile all’undicesimo posto su 12 fondazioni liriche. Non sono considerate dalla rivista l’Accademia di Santa Cecilia (in quanto istituzione esclusivamente sinfonica) e l’Arena di Verona (che vive solo la stagione estiva).

Tutta colpa della crisi e dei tagli al Fus (Fondo unico dello spettacolo)? Non esattamente. L’inchiesta di “Classic Voice”, relativa al 2011, racconta un’altra storia. «Più titoli, più recite, meno sprechi. La crisi provoca uno scatto di orgoglio all’Opera» recita il richiamo del servizio. C’è un teatro come il Massimo di Palermo (non è un refuso) che registra un utile di un milione e 217mila euro. In attivo anche i teatri di Milano (La Scala) Napoli (San Carlo) e Roma. In ripresa Bologna e il Genova (Carlo Felice) che erano dati per morti e sepolti. Altro che crisi. Il numero di titoli è salito da 105 (nel 2010-11) a 111 (nel 2011-12) e così il numero di recite (da 692 a 757, con un incremento di 65), di incassi e spettatori. E pure di abbonati. La crescita più consistente al San Carlo di Napoli con 3.877 nuovi abbonati.

Trieste unica eccezione negativa. Gli abbonati sono scesi a 3711 da 4437. Un calo secco di 700unità, praticamente un sesto, grazie alla cura dell’ex sovrintendente Antonio Calenda (direttore anche del Rossetti, stabile regionale di prosa) che ha pensato bene di abolire un turno pomeridiano e introdurre prezzi speciali per le recite con il secondo cast. Il Verdi è diventato il teatro dove si può assistere all’opera di prima e seconda classe. Modello Trenitalia. «Sono stato appena otto mesi - chiarisce Calenda -. Ho cercato di fare del mio meglio. Le responsabilità della decadenza del teatro non sono certo mie. Vanno cercate altrove. Non mi è stato consentito di fare il mio lavoro». E vista la stagione in corso d’Opera forse è stato meglio così. L’emorragia di abbonamenti sarà difficile da rimediare con il commissariamento in atto e un buco di oltre 4 milioni a risanare. «Claudio Orazi, nominato commissario nel novembre scorso - scrive Mauro Balestrazzi su “Classic Voice” - vuole raggiungere il pareggio di bilancio nel 2012: probabilmente inevitabili i tagli sui costi del personale e sulla programmazione». Profetico. La scure è già calata sul Festival dell’operetta e sulla prima mondiale di “C’est ainsi” che Calenda aveva messo in cartellone con la propria regia. Una commedia musicale inedita di Luigi Pirandello che resterà per ora tale. “Proprio così”.

Il cartellone, costruito per la prima volta sull’anno solare, si era aperto (dopo una discussa Anna Bolena) con “Cercando Picasso” con Giorgio Albertazzi e l’inevitabile regia di Calenda. Mille e centoun biglietti staccati. Una miseria. Cancellati diversi nuovi allestimenti (come quello della Bohème preso in prestito da Parma, titolo presente in sei cartelloni su 12) la stagione in corsa risultata terremotata tra defezioni di cantanti e direttori d’orchestra,, cambi di regia e scenografie, Le scarse alzate di sipario previste (67) difficilmente saranno mantenute rischiano di scivolare. Dietro il Verdi c’è solo Cagliare con 62. Con questi tagli e la chiusura estiva annunciata (dal 23 giugno a settembre), mai fatta dal dopoguerra), sarà difficile risalire la china. A Trieste siamo ormai al “fanta opera”. Altro che “toto opera”.

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