Università, si riparte con un minuto di silenzio
Inaugurato l'anno accademico. Il 'De profundis' di Peroni durante la cerimonia. Gli studenti portano in aula i palloncini
Il rettore Peroni all'inaugurazione dell'anno accademico
TRIESTE.
Anche il silenzio è eloquente. Ieri nell’aula magna dell’università, all’inaugurazione dell’87.o anno accademico, dopo le forti parole del rettore Francesco Peroni (orgoglio per i risultati, ma totale dissenso sulle politiche nazionali e regionali) i ricercatori hanno chiesto e ottenuto un «segnale», dopo aver a propria volta, assieme al personale tecnico e amministrativo e agli studenti, deprecato lo stato in cui si trova il sistema universitario, definanziato e con riforme criticate, e comunque al palo.
Peroni ha raccolto, e invitato la folla che riempiva l’aula magna, colorata di palloncini di protesta issati proprio dagli studenti, a un minuto di silenzio. Il mondo accademico ha così recitato, muto e in piedi, il «de profundis» per l’istituzione in cui vive e lavora, silenzio stridente in un pomeriggio denso di parole.
Spiccava nella relazione del rettore l’accento sull’internazionalità dell’ateneo triestino, con la citazione perfino di quante lingue si parlino fra gli studenti (giapponese e cinese inclusi), sull’aumento di imprese nate da fonte universitaria (5-6 in due anni), sui timori per la sopravvivenza stessa dell’università, e il richiamo alla «casa comune» per ridar vita, rispettandola, all’istituzione.
E spiccava tanto più la tonalità del discorso in quanto Peroni ha fatto ingresso nell’aula magna in austero abito scuro. Abolita ogni tradizionalissima pompa: niente ermellino accademico. Né poteva essere altrimenti, il rettore ha confessato la tentazione di cancellare la cerimonia, vista la situazione, e fuori gli studenti tappezzavano, semidistesi, i lati di tre piani di scalinata portando sulla pancia un foglio col disegno stampato di un’orma di piede: «Calpestati».
Ma se Maria Teresa Bassa Poropat (già docente di Psicologia) ha espresso condivisione e sostegno all’università come sede di sapere e organismo sociale ed economico, e assai deciso è stato l’assenso del sindaco Roberto Dipiazza («La politica deve fare scelte sui tagli, guardando allo sviluppo del Paese e non alle rendite delle campagne elettorali, darò il mio appoggio anche quando non sarò più sindaco»), il presidente della Regione Renzo Tondo, attaccato sui ritardi della legge per l’università e sui finanziamenti «a pioggia» agli istituti scientifici, ha lasciato in tasca il testo scritto, e ha risposto a braccio.
«Respingo - ha detto - la visione di due mondi separati: un’università virtuosa e un ”fuori” che attenta all’università, chi governa ha il dovere di farsi carico di tutti». Pur apprezzando il lavoro di Peroni, e anche la riuscita collaborazione con Udine che non è così scontata, Tondo ha ammesso che la legge regionale sugli atenei è in ritardo (ma sarà varata dopo la finanziaria), e soprattutto ha citato i finanziamenti e le riforme della Sanità, le infrastrutture regionali, i problemi del trasporto pubblico, e in un contesto di gravi e corali critiche ha difeso a spada tratta l’azione del Governo: «Lo Stato ha iniziato un percorso di rigore, e anche troppo tardi, ha costi per 800 miliardi e ne produce 720, non poteva continuare così».
La ricetta di Dipiazza, invece, ha suscitato un mormorìo, perché arrivata un secondo dopo l’intervento di Poropat: «Per trovare i soldi eliminiamo le Province, e altri enti inutili, credo saremo tutti d’accordo che l’Italia sopravviverebbe benissimo senza le Province, ma non avrebbe un gran futuro senza le eccellenze della ricerca e dell’università». Il sindaco aveva comunque portato a esempio il Comune: dirigenti e impiegati calati di numero, ma «welfare» assicurato. «Non è che la politica sia nemica dell’Università - ha detto anche -, ma la politica è nemica del Paese quando non decide, imponendo sacrifici senza attuare quei criteri meritocratici che consentirebbero alla società di crescere e non di regredire».
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