«Università, cambio di passo contro il declassamento»

Servono più ricerca, revisione della didattica, contatti con il mondo produttivo: forte autocritica e ricette per non ridursi a «piccolo ateneo d’insegnamento». Lo scrive il rettore Fermeglia nel Piano strategico che si proietta fino al 2015: «Se non si conoscono le debolezze di un sistema, non si possono correggere»
L'università di Trieste
L'università di Trieste

Se non installa un motore nuovo e superpotente, in grado di captare energie da Europa, Stato e Regione, da aziende e dall’intero “sistema Trieste” della scienza e conoscenza (di cui rivendica di essere il dimenticato incubatore e centro propulsore), se non saprà mettere le ali ai docenti “inattivi” o tuttora poco capaci di procurarsi finanziamenti e di capire le linee-guida che l’Europa ha dato al mondo dell’alta istruzione, l’Università di Trieste che pure vanta così tanti punti di alto profilo riconosciuti pure nelle classifiche internazionali finirà inesorabilmente per scadere, per diventare un ateneo dove si insegna ma non si ricevono i fondi per la ricerca, con enorme detrimento proprio, e a catena di tutto il contesto culturale e soprattutto produttivo del Friuli Venezia Giulia destinato a sempre maggiore marginalizzazione.

Per la prima volta esce da piazzale Europa un “Piano strategico” di lunga gittata (come quello fatto dalla Regione), che si proietta fino al 2015 ed è un’ impietosa autopsia, con liste e schemi che spiattellano capitolo per capitolo (didattica, ricerca, amministrazione, studenti, trasferimento della conoscenza) punti di forza, debolezze del sistema e addirittura “minacce” che incombono sul futuro.

È il frutto del determinato lavoro del rettore Maurizio Fermeglia che con questo documento di 121 pagine da poco approvato da tutti gli organi di governo e inviato al ministero come accrescimento del puro e semplice piano triennale obbligatorio ha seduto ogni dipartimento allo specchio: «Se non si conoscono le debolezze di un sistema non si possono correggere. Adesso invece tutti hanno una guida per il lavoro da fare da qui ai prossimi 5 anni». Con questo atto Fermeglia chiude il suo primo anno da rettore e si dà il programma per i prossimi 5, quanto dura il mandato.

Si parte dal presupposto che crisi economica e riforme non lasceranno sul campo il mondo “di prima”. Il sistema universitario nazionale andrà verso una razionalizzazione, con “research university” e “teaching university”: e se così sarà nel primo ristretto gruppo delle università già oggi maggiori molto difficilmente Trieste potrà essere inserita. Resterà, dice il testo, una “piccola università d’insegnamento”. Per il gruppo di testa sarà fondamentale indicatore non tanto il numero di studenti (che pure porta tasse) ma la qualità della ricerca in tutti i campi senza la quale nemmeno ci può essere una didattica di profilo alto. Brutti segni già si vedono anche in riferimento agli altri atenei del Nord Est, più Padova e Bologna: Trieste in 10 anni ha subìto il più forte calo di finanziamenti statali (-7,3%), di docenti (da 1001 a meno di 700), ed è scesa da 20 mila a 17 mila studenti, il personale amministrativo è calato da 800-900 a 680, i docenti sono “non giovani”, la quantità di ricerca è assolutamente troppo bassa a causa di ricercatori “inattivi” che impoveriscono il contesto a fronte di singoli docenti “star”. L’atteggiamento prevalente dopo tanti rivolgimenti è di “chiusura” e di “strenuo tentativo di conservare almeno quel che c’è”.

Per risalire la china saranno tenuti d’occhio il numero di brevetti e sviluppi industriali (siamo in cima alle classifiche, ma non basta), lo scatto che è atteso dai settori umanistici, la «completa revisione» della didattica a Medicina, si potenzieranno i corsi in inglese e le collaborazioni con Udine e con la Sissa, si dovranno trovare finanziamenti per la ricerca “interni”, perché «la competizione è durissima» e ottenerne di pubblici dà probabilità molto basse con rischio di totale emarginazione per ricercatori che resteranno “orfani”, se non puntano sulle linee-guida elaborate a livello europeo, che chiedono al sistema universitario impulsi per lo sviluppo sociale, culturale, industriale. Capitolo a parte l’interazione con la Regione sulle “smart specialization”.

Ma una bacchettata Fermeglia la dà all’intero “povero” tessuto produttivo locale: «Microimprese che non percepiscono neppure l’opportunità di migliorare la competitività attraverso l’innovazione», da cui «una chiara scollatura tra mondo della ricerca e della produzione», che lascia l’impressione di «scarso impatto» dell’Università sul mondo circostante. Una perla sola, insomma, opacizzata, piena di “competenze alte che non generano un flusso di servizi ad alto valore aggiunto per imprese e pubblica amministrazione”. E che fra minacce di ogni tipo potrebbe perdere il suo valore.

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