Trovato in Russia l'esercito dei dispersi

Rinvenimento di resti di migliaia di soldati 800 chilometri a Nordest di Mosca: Roma conferma. Verifiche sulla più che probabile presenza di italiani e corregionali scomparsi nel 1943. Notizia diffusa dal Gruppo speleo di San Martino del Carso. La Farnesina: impegno affinché le spoglie eventualmente identificate non vadano disperse
La ritirata di Russia, nel 1943, in una foto d'epoca
La ritirata di Russia, nel 1943, in una foto d'epoca

TRIESTE. Cinquecento metri di lunghezza e cento di larghezza: una superficie pari a cinque campi di calcio, contenente resti umani fino a quattro metri di profondità. Queste almeno sono le prime informazioni che arrivano dalla Russia e che sono al vaglio del governo e dell'ambasciata italiana a Mosca. Emerge dai drammi della storia una nuova fossa comune dove furono gettate migliaia di corpi di soldati: morti all'inizio del 1943, dopo essere stati imprigionati all'avvio della controffensiva sovietica di Stalingrado.

 

 

Finora sconosciuta agli esperti, la sepoltura di massa è stata individuata lo scorso giugno a 15 chilometri dalla città di Kirov, situata 800 chilometri a nordest di Mosca. Uno dei tanti pianeti della galassia concentrazionaria dell'Urss di Stalin: nove campi in tutto, in cui fino a oggi risultavano scomparsi duemila militari italiani.

 

 

La notizia è stata diffusa dalla sezione Ricerche storiche del Gruppo speleologico di San Martino del Carso. Stando ai primi scavi a campione, sarebbero state individuate tracce di soldati italiani, tedeschi, rumeni e ungheresi. Morti di freddo, fame e malattia dopo la deportazione: i primi spirarono già in treno durante il viaggio e furono sepolti all'arrivo, lungo la ferrovia. A Kirov si cerca ogni giorno di dimenticare quelle fosse di morte, alcune diventate campi coltivati o possibili terreni di costruzione, come in questo caso. Ma il passato ritorna.

La prudenza è d'obbligo e solo i primi approfondimenti diranno di più sulla quantità e sulla provenienza dei militari, ma i ricercatori russi Alexey Ivakin e Andrey Ogoljuk, accorsi subito sul posto, stimano la presenza di 15-20mila persone: un numero molto alto rispetto ai ritrovamenti avvenuti in passato. Il vicepresidente del Gruppo speleologico, Gianfranco Simonit, dice che «a quanto risulta sono state trovate alcune medagliette di italiani. La fossa era sita in un terreno di prossima edificazione: dopo i primi scavi, sono emersi teschi e ossa a meno di mezzo metro». Se così sarà confermato, «non si può escludere dunque» - come precisa Guido Aviani Fulvio, direttore del Museo della Campagna di Russia ospitato presso il Sacrario di Cargnacco - che in quella fossa vi siano resti di soldati partiti da queste terre, giacché «fra i caduti e i dispersi italiani si contano oltre 5mila friulani e 1.300 uomini provenienti da Trieste, Gorizia, Istria e Dalmazia».

 

 

L'associazione che gestisce il museo di San Martino è venuta a conoscenza della questione grazie ai propri contatti internazionali. Un analogo sodalizio ungherese ha scritto al Gruppo speleologico per informarlo del ritrovamento, confermato a sua volta da un'associazione russa impegnata nella ricerca e nel ripristino di cimiteri di guerra: la mail è corredata da fotografie dove si vedono chiaramente teschi e ossa umane. La scoperta come si diceva risale ai primi di giugno ed è stata comunicata in Italia una settimana dopo: gli esperti russi hanno deciso di utilizzare un canale informale, lamentando lo scarso interesse dimostrato dall'ambasciata italiana.

Una lentezza di iniziativa riscontrata dallo stesso Simonit: «Ho informato il 15 giugno la direzione dell'Onorcaduti di Redipuglia e due settimane dopo ci è stato assicurato che l'ambasciata a Mosca era stata avvertita, ma ai nostri contatti in Russia non risultavano novità: le ambasciate di Germania, Ungheria e Romania sono intervenute subito. Ci siamo allora rivolti alla senatrice Laura Fasiolo, affinché interessasse personalmente il governo».

 

«Morti e dispersi, oltre 6mila corregionali»

 

Fasiolo (Pd) ha scritto il 5 agosto al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Raggiunta telefonicamente, spiega che «l'ambasciata sta approfondendo la cosa dopo aver verificato l'effettiva esistenza della fossa. Si tratta di individuare medagliette e altri segni identificativi, per ricostruire le nazionalità dei soldati: l'area è destinata alla costruzione di case e bisogna espropriarla per evitare che i resti vadano dispersi».

Questo è infatti l'impegno assunto dallo stesso Gentiloni nella risposta del 26 agosto, in cui il ministro precisa che la notizia è nota all'ambasciata dal 21 giugno e che è stata subito presa in carico dagli uffici italiani in collaborazione con la competente Associazione russa per i memoriali militari e con le competenti istituzioni federali e regionali.

Gentiloni aggiunge che il sito è stato delimitato il 12 luglio e il terreno dovrebbe passare alla disponibilità del Comune di Kirov: messa in sicurezza e verifiche sono gestite dalle autorità russe. Dopo questa prima fase si procederà alla quantificazione dei caduti e all'individuazione della nazionalità. Qualora si trovino soldati italiani e ne sia possibile il riconoscimento, l'ambasciata si occuperà del rimpatrio delle spoglie.

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