Trieste, tra i giganti del Molo Settimo dove ci si sente “lillipuziani”
TRIESTE Come si fa a sapere su quale camion o treno deve finire un container che sbarca? E quanto tempo ci vuole per svuotare una nave oceanica da migliaia di contenitori? Ma, soprattutto, come si fa ad accedere al Molo Settimo? Non è un’operazione facile, questa: le richieste di permessi e i controlli si sprecano, ma una volta superati tutti gli scogli burocratici fa sentire, chi vi accede per la prima volta, a tutti gli effetti un lillipuziano. Pile di container ovunque, gru che oscurano il sole e navi che sembrano uscite direttamente dalla penna di Jonathan Swift.
I numeri
La grandezza la si misura con i numeri, che nel caso del Molo Settimo dicono che, nei primi sei mesi del 2019, il Trieste Marine Terminal ha segnato un aumento considerevole nella movimentazione dei container. Il totale è stato di 340.696 Teu, in aumento del 12,3% rispetto allo stesso periodo del 2018. Anche il traffico ferroviario ha registrato una crescita importante a giugno, con un più 26, 7% rispetto al mese precedente, che ha portato a un’impennata del 19,2% dei volumi trasportati via ferrovia nel primo semestre del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018. Numeri che parlano di una crescita costante. Certo, Capodistria è ancora una spanna avanti in fatto di “densità” di movimentazione di contenitori, ma lì l’effetto è sovradimensionato dalla ristrettezza degli spazi attorno. Il porto di Trieste, invece, è una città nella città, nella quale il solo Molo Settimo fa “municipio” a sé. A fare le veci di “sindaco” è Floriana De Franchis, operation manager del terminal Tmt, vera e propria coordinatrice delle operazioni di carico e scarico delle navi presenti sull’enorme molo.
Il Carico e scarico
«Prima dell’arrivo di una nave – spiega De Franchis – c’è tutta la fase di ufficio propedeutica allo scaricamento della stessa: 24 ore prima dell’attracco della nave, le compagnie di navigazione ci comunicano attraverso un file quanti e quali container possono essere scaricati e quanti devono essere caricati». Facile a dirsi. Ma come si fa a sapere quale fra i migliaia di contenitori presenti fra stiva e coperta va tolto dalla nave? «Ogni carico – ancora De Franchis – è suddiviso in quadrati e ogni fila di questi container all’interno della nave è denominata baia. Dentro ogni quadrato è censito il contenitore, ce ne sono 35 in coperta per ogni baia e 86 in stiva. A bordo di ogni mezzo è presente un palmare sul quale vengono inviate le istruzioni su dove bisogna andare a pescare il container corretto». Insomma, sono messi al bando i tentativi in pieno stile battaglia navale: «La comunicazione fra ufficio centrale e operai in questo lavoro è fondamentale, senza l’attività ne risulterebbe minata».
il Tempo
Il tempo, si sa, è prezioso in qualsiasi ambito lavorativo. Figuriamoci quando si tratta di svuotare e riempire la stiva di una nave transoceanica. Premessa fondamentale per comprendere il lavoro dei lavoratori portuali è sapere che non tutti i contenitori presenti su una nave vanno a terra e viceversa. «Quando arriva una nave da quattro, cinquemila Teu – sempre De Franchis a – si può dire che da lì in media possono essere scaricati dai 300 ai mille contenitori». Questi poi vengono smistati su altre navi più piccole presenti in porto, sui treni o, se destinati a zone limitrofe, sugli autoarticolati.
La Nave che viene e che va
Molto importante, in un porto dalle dimensioni come quelle di Trieste, dai traffici in continua espansione, è programmare adeguatamente arrivi e partenze delle portacointainer. «A metà mattina del lunedì arriva solitamente una nave oceanica da quattro, cinquemila Teu – aggiunge De Franchis – il cui carico e scarico comporta dalle 12 alle 18 di lavoro. Da una nave di questa portata vengono sbarcati ad esempio 524 contenitori e imbarcati altri 440. Il mercoledì ne arriva una più grande, solitamente fra i 14 e i 16 mila Teu, che comporta un lavoro fra le 24 e le 36 ore. Questa poi va a Fiume, da dove ritorna sbarcando fra i 2.400 e i 2.600 Teu. Oltre a questi servizi principali, ci sono i servizi feeder con navi di piccole dimensioni oppure di carico locale via camion». In questi giorni, per la prima volta, la cittadella portuale deve lavorare contemporaneamente su due navi oceaniche dalle dimensioni e dalle capacità importanti, una da 365 metri e l’altra da 333. «Due navi che arrivano quasi in contemporanea è un evento normale – viene spiegato – ma averle entrambe, con una capacità così elevata, non è cosa da tutti i giorni». Motivo per il quale non ci è stato possibile vedere da vicino le operazioni di carico e scarico. Il Molo Settimo si presenta così come un formichiere, dove anche la presenza di una persona con penna e taccuino potrebbe compromettere la normale attività lavorativa. Il terminal quindi lavora sette giorni su sette per 363 giorni all’anno. I festivi sono solamente il Primo maggio e Ferragosto. A Natale e a Capodanno invece è attivo per 12 ore soltanto.
I lavoratori
Cittadini onorari della cittadella portuale sono senza dubbio i suoi lavoratori, senza i quali la macchina perfetta del carico-scarico sarebbe come un violino senza corde. Gli operai lavorano su quattro turni giornalieri da sei ore ciascuno e hanno un percorso formativo prolungato che li porta a conoscere ogni parte dello scalo. Qui vi lavorano operai con più abilitazioni a seconda delle necessità. Si parte da una funzione di base, il rizzatore, il cui compito è quello di fissare e sbloccare ogni container sulla nave. Poi si passa al rallista, ossia colui che guida i camion. In questo modo l’addetto inizia a perfezionare la sua conoscenza del piazzale e le problematiche annesse. A quel punto si passa alla regia della gru, con il cosiddetto checker, che posto sottobordo registra i contenitori che passano per il porto, vero e proprio supporto al gruista stesso. Quindi c’è la figura del reach stacker, il conducente del mezzo mobile a quattro ruote che solleva i container singolarmente. Poi c’è il transtainer, il movimentatore delle gru più piccole, che servono a spostare le cataste dei container. L’ultimo passo è diventare portainer, ossia il gruista che muove le gru più grandi esistenti in porto. «Tutta l’operatività, in sintesi, è un loop – spiega sempre la De Franchis – perciò ogni manovra è importante ed è correlata alle altre».
La Divisione in squadre
Il concetto di lavoro di squadra è ormai concetto di ogni giorno, e anche il Molo Settimo non fa eccezione: qui l’organizzazione del lavoro è suddivisa in squadre, grossomodo una decina: «Serve per facilitare l’organizzazione delle risorse umane. Su ogni turno però non c’è rigidità, perciò se un operaio deve fare un cambio turno lo si asseconda senza problemi, sempre seguendo le direttive del Ccnl».
La gestione del rischio
C’è una certa responsabilità nello spostare 35 tonnellate di container. Detto che il porto lavora di fatto ogni giorno dell’anno, l’attività dipende anche da eventi estranei alla volontà o alla possibilità di chi vi lavora. «Certi stop sono dettati da blocchi automatici», chiude De Franchiss: «Basti pensare al blocco automatico delle gru se il vento è superiore agli 80 all’ora. A quel punto suona la sirena e le attività si fermano. La bora, la pioggia e le acque torrenziali come quelle tipiche dei temporali estivi restano comunque i momenti più difficili per gli operatori portuali». La sicurezza, fortunatamente, anche nei porti, rimane sempre al primo posto.—
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