Trieste, segni e voci del dolore in una mostra in Risiera
«Nella cella ero rinchiuso da solo. Era buia e umida. Attraverso la finestrella sulla porta ci davano il cibo. (...) Sapevano che nel cortile venivano bruciate le persone. Sulla parete ho tracciato, credo con un chiodo, il mio nome e i miei dati per far sapere, dopo la liberazione, dove ero finito». Queste le parole di uno dei prigionieri tradotti alla Risiera di San Sabba nell'aprile del 1945. Accanto, la riproduzione fotografica del suo messaggio, scolpito in una parete della cella numero 17: Rodela Celestin, il suo nome, seguito da data e luogo di nascita. Erano diciassette le celle, luoghi di prigionia angusti, costruiti dai nazisti nel 1944, in cui qualunque oggetto a portata di mano diventava per i detenuti uno strumento di comunicazione: chiodi, forcine per capelli, matite o anche il fumo di una candela. Le loro parole, i loro segni, sono esposti nella mostra "Scritte, lettere e voci: Tracce di vittime e superstiti della Risiera di San Sabba", inaugurata ieri e visitabile fino a giugno 2014 presso i saloni dell'attuale "Sala delle Croci" della Risiera, monumento nazionale.
Un'opera di recupero documentario che ha visto unirsi numerosi istituti di ricerca triestini e sloveni come l'Associazione Ex deportati, l'Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione e la Biblioteca Nazionale Slovena in uno sforzo comune volto alla ricostruzione del particolare sistema comunicativo utilizzato dai prigionieri all'interno della Risiera, messo oggi a disposizione della cittadinanza, chiamata ad ascoltare la storia di questo luogo di detenzione, unico in Italia, e soprattutto la storia degli uomini e delle donne che vi fecero passaggio. «Si tratta di una mostra che intende ricollocare le fonti storiografiche primarie, prodotte dai protagonisti degli avvenimenti, nel preciso contesto in cui si sono originate - ha spiegato Francesco Fait, curatore della mostra insieme a Franco Cecotti e Dunja Nanut - offrendo informazioni sulle biografie delle vittime e dei sopravvissuti ad esse collegate». Lungo tutta la "Sala delle Croci" si susseguono le riproduzioni delle scritte e dei graffiti tracciati sulle pareti e sul legno di porte e tavolacci delle cellette da quanti in quegli spazi vennero rinchiusi, in parte tratte dai diari numero 65 e 75 dello studioso triestino Diego de Henriquez, che li trascrisse fedelmente nel 1950 prima che fossero cancellate nell'intento di riutilizzare il comprensorio come campo per rifugiati d'oltre-cortina. Circa un centinaio di pagine di diario, integralmente riprodotte e messe in mostra per la prima volta, contenenti note, disegni, dati anagrafici, pensieri, sfoghi, calendari, messaggi personali o di matrice politica di ebrei che sarebbero stati destinati ad Auschwitz, di prigionieri politici e di due compagnie di truppe alpine. Vi sono alcune lettere fatte uscire di nascosto dalle carceri del Coroneo da persone poi condotte in Risiera, biglietti e lettere delle vittime scritte in sloveno, croato e italiano, nonché testimonianze (affidate alle voci di attori) di alcuni degli autori e delle autrici dei graffiti e delle scritte, i quali sopravvissero e raccontarono in seguito quanto patito all'interno del comprensorio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo