Trieste resta l’unica senza i civici interni

TRIESTE Trieste, una città invisibile dall’interno. Non sfigurerebbe nel libro di Italo Calvino. L’unica in Friuli Venezia Giulia e in Italia, a quanto pare, a essere priva di numeri civici interni. Un’anomalia che sopravvive da più di 60 anni che ha lasciato di stucco persino l’Istat all’ultimo censimento.
La legge che prevede la numerazione interna è del 24 dicembre 1954 (la numero 1128), l’anno del ritorno di Trieste all’Italia. All’articolo 10 si legge: «Il Comune provvede alla indicazione dell’onomastica stradale e della numerazione civica. I proprietari di fabbricati provvedono alle indicazioni della numerazione interna».
Per gli inadempienti vengono previste sanzioni da lire 50mila a lire 250mila. A Trieste, se si esclude qualche caseggiato dell’Ater (ex Iacp), i numeri interni non sono mai stati dati.
Alla faccia pure del Dpr 223 del 30 maggio 1989: «Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente» che stabilisce che «l’obbligo della numerazione si estende anche internamente ai fabbricati per gli accessi che immettono nelle abitazioni o in ambienti destinati all’esercizio di attività professionali, commerciali e simili». Ovvio che la numerazione interna va indicata su “targhe di materiale resistente”. Non può essere, insomma, la numerazione di cartone.
E così è toccato all’Istat il 15 gennaio 2014 chiedere conto al sindaco del Comune di Trieste (ovvero all’epoca Roberto Cosolini) dei “disallineamenti presenti nella banca dei dati toponomastici di origine comunale utilizzati in occasione del 15° censimento generale della popolazione e delle abitazioni” ricordando che “l’obbligo di numerazione si estende anche internamente ai fabbricati”.
«La numerazione degli accessi - spiega l’Istat nell’apposita circolare - deve essere effettuata in conformità alle norme stabilite dall’istituto centrale di statistica in occasione dell’ultimo censimento generale della popolazione e alle successive eventuali determinazioni dell’istituto stesso».
E così, 22 mesi dopo, il Consiglio comunale ha preso atto della necessità di dotarsi di un “Regolamento comunale per la Toponomastica e la numerazione civica” e l’ha approvato su proposta dell’allora vicesindaco e presidente della Commissione toponomastica Fabiana Martini. Il primo della storia civica di Trieste.
Al titolo VI (articolo 17) appare l’obbligo della numerazione interna per i fabbricati con relativa targhetta di materiale durevole (numeri romani progressivi dal basso verso l’alto distinti per scale) da apporre all’esterno degli appartamenti. La spesa, ovviamente, è a carico dei proprietari. L’adempimento fa capo, invece, agli amministratori di condomini. Sono previste anche sanzioni in caso di inadempimento che vanno dai 50 ai 500 euro. In quest’ultimo caso il Comune «provvederà direttamente o tramite ditta incaricata alle operazioni con addebito della spesa ai singoli proprietari».
Tutto bene? Non proprio. Fatto il regolamento nessuno si è prodigato per applicarlo. E, complici le recenti elezioni, non è successo. Gli amministratori degli stabili cadono dalle nuvole e l’assessorato preposto fa orecchio da mercante (è lo stesso delle Unioni civili). Del resto il prossimo censimento è in programma nel 2021, data di scadenza dell’attuale amministrazione.
L’Istat può attendere. Inutile scomodare per ora proprietari e amministratori con un’incombenza in ogni caso fastidiosa che riguarda decine di migliaia di triestini. Una targhetta in materiale durevole per interni potrebbe costare dai 5 ai 20 euro (dall’alluminio alla ceramica) a cui vanno aggiunti i costi di posizionamento.
Il regolamento, a differenza dei numeri civici (che devono essere di colore blu e misurare 20 centimetri per 16 di altezza), lascia libertà di scelta su colori e materiali (purchè resistenti e affisse in modo durevole). Ma non c’è fretta. La diversità rispetto al resto d’Italia è sempre stata un punto d’orgoglio da queste parti. Tlt, appunto. Ovvero Toponomastica libera di Trieste.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo