Trieste, il maestro dei ricreatori va in pensione

Dopo 43 anni di lavoro, lascia il mitico Eugenio Bevitori. Il debutto al “Toti” nel ’58, poi il viaggio lavorativo in 7 strutture
Silvano Trieste 10/08/2017 Intervista, Bevitori
Silvano Trieste 10/08/2017 Intervista, Bevitori

TRIESTE «Trieste deve tutelare i ricreatori, perchè questa caratteristica istituzione della nostra città mantiene oggi e manterrà domani una importante funzione educativa. Certo, la missione non può più essere quella del 1908, il ricreatorio dovrà saper interpretare il cambiamento della realtà sociale, dalle famiglie al territorio. Ma non dimentichiamoci la ratio originaria del ricreatorio, cioè che il piccolo utente è destinato a diventare cittadino, elettore, lavoratore, genitore».

Parola di Eugenio Bevitori. Uno che il ricreatorio lo conosce piuttosto bene, perchè ci ha vissuto dai sei ai sessantacinque anni. Dal 1958, quando si iscrisse la prima volta al “Toti”, a due giorni fa, quando è andato in pensione dopo 42 anni e 10 mesi di attività come maestro e come coordinatore di queste strutture comunali che hanno pochissima parentela con le altre città italiane.

«Posso dire di aver attraversato, come allievo e come dipendente comunale, oltre metà dei 110 anni di storia dei ricreatori». Una festa al caffè San Marco, con un centinaio di presenti tra cui gli assessori Angela Brandi e Michele Lobianco, ne ha salutato la lunga milizia nei servizi educativi municipali: vi ha partecipato anche lo scrittore Mauro Covacich, che di Bevitori è stato allievo al “Lucchini” di San Luigi, vicino alle case popolari di via Biasoletto.

Un ricordo forte, tanto che Covacich cita il “maestro Eugenio” in una pagina di “Trieste sottosopra”. Un originale omaggio all’educatore uomo di sport: nella via adiacente al caffè sono stati sistemati i canestri per un’esibizione di basket, la disciplina di cui Bevitori era appassionato cultore, prima come giocatore poi come allenatore. Bevitori, dopo aver conseguito il diploma di geometra all’istituto “da Vinci”, entrò nei ruoli dell’amministrazione nell’ottobre 1972: ad “arruolarlo” fu proprio il direttore del “Lucchini”, il professor Detassis.

«Allora - racconta Bevitori - non si facevano concorsi per entrare nei ricreatori e si veniva chiamati “per precetto” con contratti annuali che iniziavano il 1° settembre e terminavano il 31 agosto». «Esistevano due tipi di istruttori - riprende - il maestro di campo, che si occupava di sport e di teatro, e il maestro specialista, che seguiva il lavoro manuale e la musica. Ricordo l’importanza che aveva nei ricreatori l’attività bandistica».

Dopo l’esordio al “Lucchini”, Bevitori cominciò la lunga tournée nei vari rioni: il “Cobolli” a Valmaura, il “Pitteri” a San Giacomo, il “De Amicis” a San Vito, il “Frank” a Melara, il “Fonda Savio” a Opicina, il “Brunner” a Roiano e lo “Stuparich” a Barcola. Le “guarnigioni” di maggiore durata, entrambe decennali, a San Giacomo e a Melara. Un notevole punto di osservazione per cogliere i mutamenti della società triestina. Per esempio, le diverse esigenze di famiglie dove anche le madri andavano a lavorare. Oppure le particolarità di luoghi come Melara, dove, accanto all’utenza residenziale, affluivano i figli del personale medico e paramedico che operava a Cattinara. La frequentazione dei ricreatori da parte dei piccoli che appartengono alle etnie non italiane: cinesi, serbi, macedoni ...

Dai primi anni ’80 cambiano i profili professionali degli educatori, non più a condominio tra scuola e ricreatori: il modulo si fa standard, si attenua la “rionalità” dell’approccio. Dove le maggiori soddisfazioni? E le maggiori criticità? Due quesiti, una risposta senza molti dubbi: «Melara. L’esperienza più difficile ma più innovativa, dall’attenzione verso le disabilità alla realizzazione del Servizio di integrazione scolastico».

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