Trieste, battaglia tra i monomarca e i negozi storici
Sabato scorso in via Dante ha inaugurato i suoi ampi spazi la catena di cosmetici Kiko. Tra tre settimane Zara aprirà in via San Nicolò. Ancora monomarca, ancora franchising come ormai nel resto di tutto il centro città. Un radicale cambiamento nel commercio locale iniziato alla fine degli anni Settanta con lo sbarco a Trieste dei primi negozi di Benetton, Bata, Prenatal, Ovs, Upim, Coin. Piazza della Borsa è oramai nelle mani deI franchising. L’era dei negozi gestiti dai commercianti triestini, che spesso portano il nome del titolare, che selezionano i diversi marchi da proporre andando incontro specialmente ai gusti dei triestini o dei vicini sloveni, è terminato. I diversi settori commerciali sono passati nella rete delle grandi holding, specialmente per campo dell’abbigliamento. I calzaturifici storici come Rosini, Spinazzola o Tudor devono difendersi da catene come Geox, Bata, Pittarello o Melluso che ha da poco aperto un negozio monomarca in corso Italia.
Nel settore della biancheria Gaggi o Monti devono fare i conti con Calzedonia, Intimissimi, Yamamay, Tezenis, Golden Point che da via San Nicolò ha traslocato in piazza della Borsa. Godina, Corner, Guina, Rigutti, Botteri, Christine o il Bagaglio che domani aprirà la nuova boutique sotto galleria Tergesteo, devono combattere contro i negozi di Max Mara, Liu Jo, Marina Rinaldi, Nara Camice, Boggi ma pure, malgrado la qualità sia decisamente inferiore, con i colossi come H&M o Zara che si è imposta anche via San Spiridione con Stradivarius. Le profumerie storiche come Portici o Rosa sono messe a dura prova dalle catene come Limoni o Sephora. E ora anche da Kiko o Wycon che ha occupato gli spazi di Capo di Piazza.
Anche le librerie si sono dovute rassegnare di fronte all’arrivo dei colossi come Feltrinelli, Giunti o Mondadori. Solo il campo della ristorazione e quello dei parrucchieri per ora non hanno tra i loro forti concorrenti molti marchi nazionali o internazionali. Dopo il flop di Rossopomodoro, resistono in centro città solo catene come Fratelli la Bufala, Burger King, il giapponese Zushi e Befed gestito però da Roberto e Ezio Maracich che hanno fatto la storia dei locali triestini e che fanno indubbiamente la differenza. I grandi marchi sono di indubbio richiamo ma si trovano ovunque, non caratterizzano la città, le sue peculiarità, i suoi gusti. «In questo momento – valuta l’assessore comunale al Commercio, Edi Kraus - il franchising a chi vuole aprire un nuovo negozio offre più certezze, si corrono meno rischi, ti affidi a una grossa azienda. E’ il mercato che obbliga a fare queste scelte – aggiunge – e ovviamente i commercianti triestini che invece non si sono convertiti ai monomarca corrono più rischi ma se hanno professionalità possono mantenere buoni guadagni». «Ti aiutano con le rimanenze, a fine stagione quello che non è stato venduto in un monomarca te lo ritirano e lo rivendono negli outlet, – spiega Luca Kostoris alla guida dello storico Arbiter in via del Teatro – ma con questo sistema viene meno la tradizione, il rapporto umano e di fiducia consolidato con i clienti. I negozi tradizionali, multimarca, - continua il commerciante – di anno in anno hanno il gestore che sceglie tra le tante collezioni calibrando in base ai gusti e alle abitudini della clientela triestina: un valore aggiunto impagabile». «L'imminente ingresso del colosso Zara – valuta Annalisa Godina, titolare dell’omonimo negozio - sta per creare un terremoto nel fragile equilibrio commerciale della nostra città». «Credo che nell'abbigliamento la partita sia ancora aperta – spiega Godina - il processo di vendita di queste grandi catene non è confrontabile con il commercio tradizionale ed i clienti esigenti in termini di qualità e servizio lo sanno bene. Io, come molti storici commercianti triestini, – conclude – se ho la sensazione che un mio cliente non sia rimasto soddisfatto gli faccio i ponti d’oro per accontentarlo. In una di queste realtà, invece, il cliente è un semplice numero».
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