«Sulla festa del Prosecco ci sentiamo presi in giro»
In alto le mani. Altro che i calici. Nei giorni pre-festival del Prosecco - da venerdì a domenica, nella nuova Stazione marittima - i viticoltori del Carso fanno capire di sentirsi vittime di una specie di “rapina”. Una “rapina” per così dire legalizzata di cui la Camera di commercio più che un mandante è uno degli esecutori. «Abbiamo regalato il nome Prosecco (la doc, ai produttori industriali veneti, ndr) e in cambio siamo stati presi in giro. È in atto una presa in giro nei confronti del territorio triestino da parte delle istituzioni, e la Camera di commercio se n’è associata. Con tutti quei soldi (per il salone, ndr) sarebbe stato meglio piantare vigne, ripristinare pastini e muri storici nei terreni dei borghi». Sospira così, Beniamino Zidarich, che si fa portavoce dei produttori locali e della loro scelta di chiamarsi fuori dalla fiera promossa da Antonio Paoletti, presentando una lunga e articolata lettera aperta «condivisa praticamente da tutti noi», firmata «Viticoltori del Carso».
La lettera guarda in effetti all’imminente «seconda Festa del Prosecco. Anche questa edizione vedrà impegnata la Camera di Commercio nell’organizzazione dell’evento, che avrà quale scopo unico la promozione del noto vino bevuto in tutto il mondo. Giova ricordare che tutto è nato da una grande pensata dell’allora ministro delle Politiche agricole, l’odierno governatore del Veneto Zaia. Facciamo un passo indietro. I produttori veneti hanno bisogno di tutelare il nome del vino prodotto principalmente nella zona di Valdobbiadene. Tale tutela può venir esercitata mediante un istituto che ne tuteli la denominazione. Viste le leggi dello Stato e quelle comunitarie, la strada obbligata è di legare la denominazione Prosecco ad un luogo fisico. Viene quindi intrapresa in tempi velocissimi la strada che porta a un consorzio transregionale, composto da cinque province venete e dalle quattro del Friuli Venezia Giulia, che deve includere necessariamente anche quella di Trieste, perchè è qui situato il paese di Prosecco». «I produttori del Carso - prosegue il racconto della lettera - spinti dalle pressioni politiche acconsentono a far parte di tale nuovo consorzio salvo rivedere la loro posizione vista la distanza abissale che si accorgono esserci tra il loro modo di vedere il vino, quindi ambiente e produzione artigianale, da quello degli altri aderenti, quindi industria e logica del profitto. I carsolini ricorrono al Tar del Lazio per recedere da tale consorzio e, mentre ci si avvia a ricevere uno scontato accoglimento, i politici veneti, sostenuti da quelli friulani, propongono un Protocollo d’intesa sulla Doc interregionale del Prosecco».
«In base a questo protocollo - incalzano i viticoltori del Carso - il ministero e la Regione Fvg si impegnavano a limitare i vincoli di creazione di nuovi vigneti sul Carso e a implementare un piano di sviluppo rurale sul territorio, conosciuto come Masterplan. La Regione inoltre si impegnava a trovare i fondi per lo stesso Masterplan, che avrebbero dovuto portare sul territorio qualcosa come dieci milioni di euro l’anno per sei anni. Parallelamente il Ministero si impegnava a finanziare un progetto di promozione e valorizzazione dei vini del Carso e a cofinanziare una Festa del Prosecco e una Casa del Prosecco nella località omonima». «I produttori del Carso - si ammette nella lettera - consapevoli anche della necessità di proteggere una parte importante della produzione vinicola italiana, acconsentono, ritirano il ricorso e sottoscrivono il Protocollo». Ma «ad oggi, in Veneto hanno piantato 20mila ettari ed in Friuli 3.500 ettari di barbatelle di glera, vitigno autoctono del Carso che è diventato un vitigno autoctono di tutte le province facenti parte del Consorzio. Ad oggi sul Carso non si è impiantato un solo ettaro, la Regione ha più volte spernacchiato i produttori del Carso dato che lo scopo lo aveva già raggiunto e ha solo pensato di devolvere finanze a sostenere quella Festa del Prosecco che poteva anche rappresentare qualcosa da fare ma solamente dopo aver avuto qualcosa da festeggiare, come per esempio la creazione di qualche nuovo vigneto. Qualcosa in effetti era stato piantato, ma era solamente una barbatella di glera, messa a dimora ad uso dei fotografi dall’allora ministro Zaia coadiuvato dal suo fido scudiero Violino». Ora - la chiosa della lettera - «i veneti ed i friulani non solo si sono già dimenticati di tutto ciò ma anche si chiedono: cosa vogliono i produttori del Carso? Intanto, ristabilire la verità su un vino ed un vitigno, sulle origini e sul modo di vinificare». Eppoi «contare sull’attuazione degli articoli del Protocollo d’intesa», nonché «dissociare la propria immagine di produttori naturali ed artigianali da un mondo industriale-finanziario con cui non hanno nulla a che fare. Il dissociarsi passa per la non adesione alla prossima Festa del Prosecco voluta dalla Camera di Commercio. Alla prima edizione i produttori del Carso avevano deciso di partecipare per dimostrare alla stessa Camera di essere pronti a lavorare insieme sullo sviluppo territoriale, ma alla fine cosa è successo? Nulla! Si fanno solo feste quando da festeggiare non c’è proprio niente. Anzi, si continuano ad utilizzare risorse pubbliche per finanziare manifestazioni contrarie agli interessi dei propri produttori e per dare vetrina ad un modo di produrre industriale che riceverà la grande visibilità che Trieste offre in occasione della Barcolana».
@PierRaub
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