Squali “a dieta” nelle acque istriane
SPALATO. Granchi, acciughe, seppie, altri pesci e addirittura alghe. È quanto rinvenuto da un gruppo di biologi sloveni e croati negli stomaci di una quindicina di palombi stellati, squali finiti accidentalmente nelle reti a strascico di alcuni pescherecci in attività nelle acque dell’Adriatico settentrionale. I contenuti sono stati analizzati dal team congiunto sloveno–croato, con gli esemplari di palombo lunghi tra i 50 e i 152 centimetri.
I risultati della ricerca, relativi alla cattura di squali avvenuta tra dicembre 2005 e aprile 2007, sono stati pubblicati nell’ultimo numero della rivista scientifica Natura Croatica. Si rileva un dato che gli studiosi hanno definito parecchio preoccupante: nello stomaco di un palombo non era presente nulla, nessun resto di cibo, una cosa che deve fare assolutamente riflettere perché conferma il graduale ma inarrestabile impoverimento delle acque marine. Ma anche trovare resti di vegetali negli squali che sono carnivori è allarmante: equivale a rinvenire tracce di latte nello stomaco di un alcolista.
A detta dei biologi dell’Istituto oceanografico di Spalato, nel mare Adriatico vivono circa 30 specie di squali, di cui alcune arrivano solo saltuariamente in queste acque. La specie più pericolosa per l’uomo nelle acque adriatiche, sostengono gli studiosi spalatini, è la verdesca, squalo che può crescere fino a 4 metri e mezzo di lunghezza ed arrivare ad un peso di 150 chili. È molto attratta dal sangue e può, per errore, attaccare l’uomo. Sono casi comunque molto rari.
L’ultimo, grave attacco in Adriatico di un pescecane all’uomo si è verificato nell’ottobre del 2008 nel mare che bagna l’isola dalmata di Lissa. Il pescatore sub lubianese Damjan Pecek, 43 anni, fu azzannato al polpaccio della gamba destra, con attacco avvenuto nell’insenatura di Smokovo, mentre lo sloveno era impegnato in una battuta di pesca in apnea. A provocare probabilmente l’attacco fu il fatto che l’apneista avesse appeso alla cintola una ricciola, catturata pochi minuti prima e dunque ancora sanguinante. Probabilmente la scia di sangue lasciata dal pesce attirò le attenzioni di uno squalo che, secondo i testimoni oculari dell’aggressione, era lungo circa 5 metri. Secondo gli esperti, Pecek (finito all’ospedale di Spalato e poi ripresosi dall’incidente) era rimasto vittima di una delle seguenti tre specie: squalo bianco, smeriglio e verdesca.
L’ultimo attacco dalle conseguenze tragiche avvenne nel 1974 nella baia di Preluca, tra Fiume e Abbazia, con due turisti cecoslovacchi presi di mira da due squali. Gli sventurati villeggianti, che si erano portati al largo a bordo di materassini gonfiabili, morirono dissanguati.
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