Spunta l’autografo di Sissi tra i “tesori” del Burlo
Si firmò semplicemente Elisabetta. Utilizzando solo il nome, pur essendo imperatrice, scritto peraltro in lingua italiana, probabilmente per compiacere ai suoi sudditi di Trieste, in gran parte italiani. Era il 18 settembre 1882. Elisabetta, in visita a Trieste assieme al consorte, l’imperatore Francesco Giuseppe, in occasione sembra di una rassegna di macchine industriali, volle raggiungere l’ospedale infantile, ancora lontano dall’essere denominato Burlo Garofolo, tale solo dal 1907, in virtù del lascito di 100mila fiorini della baronessa Maria de Burlo Garofolo, per portare conforto ai piccoli ricoverati e vergò il registro degli ospiti illustri di suo pugno. Oggi quel magnifico librone d’altri tempi, con la copertina rigida e riccamente incastonata, è entrato a far parte, assieme a una straordinaria quantità di altri documenti e testi che vanno dal 18 novembre 1856, anno di fondazione del primo ospedale infantile della città, a oggi, del patrimonio custodito e gestito dall’Archivio di Stato di via La Marmora 17.
A consegnare questa notevole rassegna di testimonianze dell’ultimo secolo e mezzo della vita della città alla responsabile dell’Archivio, Claudia Salmini, è stato il direttore generale del Burlo Garofolo, Mauro Melato. «Il nostro - ha detto Melato - é il più antico ospedale pediatrico d'Italia. Nella sua lunga vita sono stati prodotti migliaia di cartelle cliniche, registrazioni di cure e interventi, sono stati catalogati nomi di bambini ricoverati e dei loro genitori e parenti, di medici e dirigenti. Non disponendo di un nostro archivio - ha spiegato - e avendo materiale disperso in vari armadi, non organizzato, per amore storico ho raccolto un po' tutto e ho pensato che l’Archivio di Stato fosse il soggetto più adatto per accogliere tutte queste carte, riordinarle e metterle a disposizione di tutti». È merito di questo medico con la passione per la storia e della sua pazienza, se un ricco patrimonio di testimonianze potrà essere messo a disposizione della collettività. «La proprietà rimane del Burlo Garofolo - ha ripreso Melato - ma il miglior gestore è l’Archivio di Stato».
Trieste perciò si arricchisce di un ulteriore tassello di quel composito mosaico che ne delinea le vicende recenti. Anche la quantità di documenti è considerevole: si tratta di cinque metri lineari di casse stracolme. «Consultando i registri, si riscontra una traccia che definisco sensazionale e per fortuna - ha sottolineato sorridendo Salmini - si tratta solo di cinque metri di contenitori. Fossero stati di più, non avremmo avuto lo spazio sufficiente». «Scorrendo questo materiale - ha sottolineato Pierpaolo Dorsi, soprintendente per l’Archivistica del Fvg -, si può approfondire l'evolversi della società triestina sotto il profilo demografico. E contiamo di ritrovare ulteriori elementi di grande valenza storica, perché il nostro tipo di ricerca non coincide con la modalità utilizzata dai sanitari nella conservazione dei documenti. Una diversa visione potrà originare ulteriore riflessioni e analisi».
L’ospedale infantile nacque con lo scopo di «assicurare gratuitamente ai fanciulli di poveri genitori un adeguato asilo», come recita l’atto di fondazione del 1856, che fa parte anch’esso, anche se solo in copia, dei documenti consegnati, e fu collocato sul colle di San Vito, al pianterreno dell'ospizio dei padri Mechitaristi. Una decina d'anni dopo, fu trasferito in un edificio in via del Bosco. Nel 1907 l'ospedaletto, come fu chiamato per lungo tempo dai triestini, beneficiò del lascito della baronessa Maria de Burlo Garofolo e da allora venne chiamato “Ospedale infantile e Pie Fondazioni Burlo Garofolo”. Nel 1928 Alessandro De Manussi elargì, con un documento che fa parte anch’esso della collezione, in memoria della moglie Aglaia, una cospicua somma per la costruzione di un padiglione per il ricovero di bambini con malattie croniche, incurabili o affetti da turbe psichiche.
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