Soprintendenze regionali declassate Sparito il direttore generale
A Pompei cadono i muri e in Friuli Venezia Giulia cade una testa, quella del direttore generale dei Beni culturali. La seconda bozza di riforma del Mibact, il Ministero dei beni culturali che adesso aggrega in sé, con quella “t” aggiunta per decreto nel 2013, anche il turismo, declassa la sede di Trieste in esatta coincidenza con il pensionamento di Giangiacomo Martines, il cui ruolo è segnalato come “in assegnazione”.
Ma se la bozza di riforma rimane com’è, al posto di Martines non arriverà più un direttore regionale con le piene funzioni di delega ministeriale, con potere di porre vincoli sui beni da tutelare, con potestà di agire sul personale delle Soprintendenze, degli archivi, dei musei e delle biblioteche statali. Arriverà un funzionario di “seconda fascia”, un pari livello dei tre soprintendenti, «con poteri esclusivamente di coordinamento». Tutte le funzioni attive in tema di tutela tornano nelle mani delle Direzioni del Ministero, a Roma.
Dunque mentre la classe politica locale da tempo preme in verso contrario, per ottenere una “regionalizzazione” delle Soprintendenze, in specie per i temi architettonici e del paesaggio (ma la tentazione era venuta anche per Parco e Castello di Miramare al tempo della grande crisi di manutenzione), e mentre sale al governo il giovane Renzi che vuole tutto sburocratizzare e di cui la governatrice del Fvg Debora Serracchiani è uno dei bracci destri, ecco che le cose si mettono ad andare in senso esattamente contrario. Né valgono un chicco di riso la decantata “specialità” regionale o i presunti piccoli “federalismi”. Per avere vincolato un bene bisognerà spedire una raccomandata al Ministero, una prassi che fa tornare indietro di decenni rispetto alle successive riforme.
La bozza di regolamento che accorpa direzioni generali e incide fortemente sugli organici del Ministero prevedendo consistenti risparmi, salvo emendamenti dell’ultimo minuto, avrebbe portato da 17 a 12 le direzioni regionali. Il testo preparato dal ministro della Cultura Massimo Bray e ora sul tavolo del nuovo ministro Dario Franceschini, agli articoli 7 e 8 spiega che cosa potrebbe accadere: «Le direzioni regionali della Basilicata, del Friuli Venezia Giulia, delle Marche, del Molise e dell’Umbria sono uffici dirigenziali di livello non generale». Questi direttori «esercitano esclusivamente i poteri di coordinamento. I poteri di direzione, di indirizzo, di controllo (...) sono esercitati dal direttore centrale competente per materia».
Ma sembra che è il testo sia stato emendato e che lo stesso destino sia stato allargato anche ad altre regioni. In tutti i casi il Fvg era già di secondo livello, meno pagato, quindi poco appetibile per questi funzionari, in ragione di «numero di Comuni, superficie territoriale, popolazione residente, numero di uffici periferici presenti nella regione, entità numeriche dei beni e delle aree tutelate e dei relativi provvedimenti di tutela». In sintesi, una regione piccola. Un terremoto politico aveva suscitato la prima bozza di riforma, che conteneva l’idea di aggregare le Direzioni Mibact delle regioni piccole ad altre contermini più grandi, quindi il Fvg sarebbe finito “sotto il Veneto”. «A nessuno piace perdere l’alta posizione mentre altri la conservano e soprattutto la propria autonomia» protestarono i governatori. Come risultato è sparita l’aggregazione ma è arrivato il declassamento totale.
Con questa operazione il Ministero ha prodotto una riduzione del 20% di personale negli uffici e del 10% della relativa spesa. Il totale dei dipendenti del Ministero diventa di 19.050.
I dirigenti di prima fascia passano da 29 a 23, quelli di seconda da 194 a 167, il personale non dirigenziale dei Beni culturali scende in totale di 2.285 unità e comporta una riduzione di spesa per 67,6 milioni di euro.
E le regioni declassate? Col progetto di declassare anche solo alcune direzioni regionali in Italia, il Ministero aveva calcolato di poter raggiungere un risparmio di 2,8 milioni.
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