Slovenia, affare mascherine. Janša: rispettate le norme
LUBIANA Affare mascherine in Slovenia: il premier Janez Janša (destra populista) si difende su Twitter dalle accuse di corruzione e abusi d’ufficio sull’acquisto di dispositivi sanitari di sicurezza personale da parte dell’esecutivo e rinnova la fiducia ai suoi ministri finiti nel mirino degli accusatori ossia il titolare dell’Economia Zdravko Počivalšek e della Difesa Matej Tonin, ma la piazza non gli dà fiducia e in oltre 3.500 protestano il Primo maggio a Lubiana, in bicicletta, contro le misure prese dal governo durante la pandemia di coronavirus e ne chiede le dimissioni.
Tutto finito? Non proprio, perché alcune forti perplessità sull’operato dell’esecutivo di centrodestra rimangono e poi rimane il passaggio istituzionale in Parlamento dell’intera vicenda, Parlamento dove le opposizioni sono pronte a chiedere la sfiducia costruttiva del primo ministro e dove il partito di coalizione Nuova Slovenia (Nsi destra cattolica) firmerà la richiesta di istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare. Il premier sui social ha sostenuto che «tutto è stato acquistato il più rapidamente possibile e ha soddisfatto almeno gli standard di base. Non conosco un paese dell'Ue - ha scritto - che non abbia fatto diversamente. E molti ancora lo fanno. Il tempo e la sicurezza dell'approvvigionamento sono il fattore numero uno.
Con ogni fornitura a tutti noi veniva tolto un gigantesco sasso dal cuore». Secondo il premier, il governo di Marjan Šarec (cui è subentrato quello di Janša ndr.) ha pagato 49.154 euro per un unico ventilatore polmonare ordinato prima del 13 marzo, mentre il prezzo medio per i ventilatori, dopo che il nuovo governo è subentrato, è stato di 33.880 euro. «La differenza di questi prezzi spiega il motivo per cui i fornitori di prima classe e i loro media e uffici di pubbliche relazioni hanno esposto Počivalšek agli attacchi di questi giorni», ha precisato Janša.
Chiara la “filosofia” del premier: abbiamo cercato di salvare il salvabile. Il problema è che in questa situazione certamente caotica qualcuno ne avrebbe approfittato con casi di abuso d’ufficio e di clientelismo come ha denunciato pubblicamente alla Rtv Slovenija il facente funzioni di direttore delle Riserve di materiali della Slovenia, Ivan Gale, facendo esplodere il caso. Ma c’è un altro punto oscuro. Il dottor Rihard Knafelj, in base ai documenti in possesso di Rtv Slovenija, membro della commissione informale di esperti che ha valutato le offerte di ventilatori polmonari alla Slovenia ha definito quelli poi acquistati, in tutto 220, dalla società slovena Geneplanet (il modello Siriusmed R30) inadatti alla respirazione dei pazienti i quali affetti da coronavirus hanno bisogno di una respirazione controllata. Knafelj ha inoltre affermato (al suo fianco c’erano altri due medici: Marko Noč e Primož Gradišek) di essere rimasto sorpreso dalla notizia che il governo aveva acquistato proprio quei ventilatori visto che la commissione di esperti delle 90 offerte pervenute ne aveva valutate ben 13 come conformi. Knafelj ha subito pesanti minacce nei giorni scorsi e ora è sotto scorta.
Pronta la replica di Geneplanet. Il direttore Marko Bitenc difende l’assoluta qualità dei ventilatori prodotti confermata, tra l’altro, dall’enorme numero di ordini proveninti dall’estero. La società nega qualsivoglia legame con la politica e sostiene che, a causa dell’esposizione mediatica di questi giorni, ha subito un danno economico. E decide anche di chiedere alle Riserve della Slovenia di rescindere consensualmente il contratto di fornitura in essere e questo per salvaguardare l’immagine dell’azienda, soprattutto dopo che si è saputo che la commissione tecnica aveva bocciato le sue apparecchiature. Intanto le biciclette fanno risuonare i loro campanelli di protesta a Lubiana, Maribor, Nova Gorica e Capodistria. Un Primo maggio di lotta, ma non certo in difesa del lavoro del premier sloveno e del suo governo. —
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