Scienza, Mauro Giacca al vertice mondiale dell'Icgeb

Incarico per il ricercatore triestino nominato direttore generale dal board che raccoglie gli istituti biotecnologici di New Delhi, Cape Town e Trieste e dei 43 centri sparsi in una miriade di Paesi. «Il mio sogno è riparare cuori»

Il suo sogno è rigenerare cuori malati, e potrebbe essere vicino a realizzarlo. È per questo che Mauro Giacca, 55 anni, medico e ricercatore triestino, è stato nominato al Board of Governors dell’Icgeb - International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology, in corso in questi giorni all’Area Science Park di Padriciano, direttore generale del Centro internazionale di ingegneria genetica. Significa che da oggi Giacca dovrà coordinare, dirigere e promuovere la ricerca delle tre sedi dell’Icgeb - Trieste, New Delhi e Cape Town -, dei quarantatrè centri affiliati e dei 63 Paesi che ne fanno parte. Certo, significa anche avere le spalle coperte dalle Nazioni Unite, di cui l’Icgeb è parte, ma soprattutto vuol dire avere la responsabilità di promuovere la mobilità della ricerca ed estendere a tutti gli Stati membri ogni conoscenza acquisita. Giacca ha preso il posto di Francisco Baralle, lo scienziato argentino che ha guidato il Centro per un decennio. Per chi non lo sapesse l’Icgeb svolge attività di ricerca e formazione avanzata in vari settori della genetica molecolare e delle biotecnologie, in particolare nel campo della virologia, immunologia, medicina molecolare, biologia vegetale, protezione ambientale, produzione di farmaci biotecnologici. Insomma tutto ciò che ha direttamente a che fare con la qualità della nostra vita. In più l’Icgeb finanzia borse di studio per studenti di dottorato e giovani ricercatori, finanzia progetti di ricerca nei Paesi membri e organizza più di venti tra meeting e corsi ogni anno. Poi ci sono i servizi scientifici, come il trasferimento di . know-how all’impresa nel campo delle biotecnologie e dello studio dell’impatto ambientale degli organismi geneticamente modificati.

Un mucchio di lavoro.

«Sì - risponde Mauro Giacca - anche perché da quando l’Icgeb è stato fondato, venticinque anni fa, molte cose sono cambiate».

Per esempio?

«Be’, è cambiato il mondo, e molti Paesi membri del Centro, come India, Cina, Brasile, oggi sono dei giganti anche in campo scientifico e tecnologico, per cui la forbice tra chi è andato avanti e chi è rimasto indietro si è allargata di molto».

È a rischio l’esistenza stessa del Centro?

«È esattamente il contrario: proprio molti dei Paesi diciamo così rimasti indietro continuano a vedere nelle biotecnologie una fonte essenziale di progresso, e anzi un modo per risolvere problemi economici e sociali. Per questo chiedono all’Icgeb soluzioni a livello regionale, progetti mirati che permettano di identificare problematiche precise per il territorio».

Come nell’agricoltura?

«Sì, piante geneticamente modificate per aiutare l’agricoltura del Sud America, o progetti di ricerca per sconfiggere malattie endemiche, come la dengue, la malattia infettiva tropicale che flagella l’Asia e lo stesso Sud America».

Per l’Icgeb cosa cambia?

«Prima i Paesi membri del Centro mandavano solo i loro giovani a formarsi con borse di studio e programmi di ricerca, ora chiedono anche specifici programmi di ricerca, mirati sul territorio, dove questi giovani possano essere impiegati praticamente».

Dovrà viaggiare parecchio all’estero nei prossimi anni.

«È la prima cosa che ha detto mia moglie. Ma l’ho tranquillizzata: più di quanto faccio ora non sembra possibile…».

Il fatto che ora il direttore generale sia un italiano...

«...significa che l’Italia mantiene nel campo delle biotecnologie e della cooperazione un ruolo di eccellenza, e Trieste rimane il fulcro di questa eccellenza. Promuovere start-up a Trieste per aiutare una ricaduta sul territorio sarà una delle mie priorità».

Però le biotecnologie sono spesso al centro di forti polemiche.

«È molto diversa la posizione fra Europa e Paesi come Canada, Stati Uniti, Australia, Cina. Lì, per esempio, producono cereali e cotone geneticamente modificati senza alcun problema. E nessuno discute più sull’ingegneria genetica per la salute dell’uomo: nei primi dieci farmaci più venuti al mondo ben sette sono farmaci biologici, tra cui l’insulina e gli anticorpi monoclonali per la cura dei tumori. In Europa, invece, se ormai nessuno mette più in dubbio che ci possano essere pericoli per la salute, è acceso il dibattito sull’impatto economico, sulla necessità o meno di prodotti geneticamente modificati - e quindi “semplificati” - là dove invece ci si può ancora permettere la diversità».

L’Icgeb come si pone di fronte alla questione?

«Stiamo facendo un lavoro importante sulla biosicurezza e l’impatto ambientale delle piante geneticamente modificate in Africa. La Bill Gates Foundation ha erogato sei milioni di dollari per il progetto, noi organizziamo corsi destinati ai legislatori africani per fare vedere tecnicamente come funzione la modificazione genetica, fornendo così ai legislatori le basi scientifiche per permettere loro di fare le scelte normative e giuridiche ritenute più giuste».

E la sua, invece, di ricerca?

«Mi occupo delle malattie cardiovascolari. Fra l’altro è un settore che venticinque anni fa sarebbe stato snobbato dai Paesi in via di sviluppo, come appunto la Cina o il Brasile o l’Africa. Oggi con un più diffuso benessere e l’allungamento del tempo di vita le malattie cardiovascolari stanno avendo un’enorme diffusione proprio in quei Paesi».

Il suo obiettivo?

«Trovare nuovi farmaci per curare l’infarto e lo scompenso cardiaco. I farmaci classici sono molecole chimiche che non funzionano dove c’è perdita di cellule. Le biotecnologie permettono di realizzare farmaci biologici in grado di rigenerare le cellule, e il mio sogno è trovare un farmaco per i pazienti affetti proprio dallo scompenso cardiaco dopo l’infarto».

Rigenerare i cuori. A che punto siete?

«Abbiamo raggiunto ottimi risultati, sento che siamo vicini alla soluzione. Stiamo sperimentando piccoli Rna (polimeri organici molti simili al Dna, ndr) che nei topi hanno funzionato, hanno “riparato” i loro cuori. Un nostro studio al riguardo è stato pubblicato l’anno scorso su Nature. Il lavoro continua, e i risultati sono molto, molto positivi».

Cambierebbe la vita di milioni e milioni di persone, cambierebbe il modo di stare al mondo.

«Sì, e sono entusiasta, è un’avventura straordinaria».

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