«Rossetti, Teatro nazionale solo con fondi adeguati»
Regione e Comune, i due soci che “pesano” di più nell’ambito dei finanziamenti pubblici dal territorio al Teatro stabile di prosa del Friuli Venezia Giulia, sono pronti ad accollarsi i costi di produzione di un Teatro nazionale in fusione con Css e Accademia Nico Pepe di Udine che - secondo i calcoli del Rossetti - farebbe loro sborsare un bel po’ di soldi in più rispetto a oggi? Non è l’unica, ma è una delle questioni-chiave che il consiglio di amministrazione dello Stabile l’altra sera ha deciso di sottoporre ai soci. Uno dei punti in base ai quali sciogliere, dopo lunghi dubbi, il nodo della strada da intraprendere entro gennaio, così come previsto dal decreto Franceschini: Teatro nazionale, appunto, o Teatro di rilevante interesse culturale. Nel primo caso gli enti locali devono erogare una cifra pari al 100% di quella stanziata dal Fondo unico dello spettacolo, che scende al 40% nel secondo caso.
Il cda, in cui pure siedono i rappresentanti dei soci (oltre a Regione e Comune le Province di Trieste, Gorizia e Pordenone e la Camera di commercio), vuole comunque siano i soci stessi a esprimersi. Già ieri era in programma un incontro fra il sindaco Roberto Cosolini, il presidente dello Stabile Milos Budin, il direttore Franco Però e l’assessore regionale alla cultura Gianni Torrenti. Incontro annullato per la forzata assenza dell’assessore (ieri irraggiungibile al telefono per motivi personali), se ne dovrà riparlare. Budin preferisce il silenzio in attesa del confronto, ma è chiaro che la posizione emersa dal cda è estremamente scettica sulla possibilità di Teatro nazionale: difficile chiedere garanzie di maggiore impegno economico agli enti locali - ma anche a Roma - in un periodo di bilanci magri per tutti. Secondo il Rossetti, almeno: perché la Regione invece punta da tempo al Teatro nazionale, in un progetto sostenuto dal capoluogo friulano.
Ma tant’è. Quella sulla sostenibilità economica dell’opzione “nazionale” non è l’unica perplessità che il cda dello Stabile intende avanzare. In ballo c’è fra l’altro anche la soglia minima di spettacoli di produzione previsti, che altererebbe l’equilibrio complessivo dell’offerta al pubblico con i titoli - e i generi - ospitati. Molte le criticità, dunque, sottolineate più volte come noto, da Budin. Anche se il Rossetti, malgrado si appresti a offrire ai propri soci un’analisi che reputa condurre a un risultato preciso - che cioè sia meglio puntare al Teatro di rilevante interesse culturale - non vuole dire no in prima persona. Tanto che «non sappiamo ancora cosa faremo», dice il direttore Franco Però: «Il Teatro nazionale? I tempi ci sono ancora, ci lasciamo aperta questa possibilità: bisogna contare, certo, le forze di natura economica. La nostra disponibilità è totale, ma occorre mettere i soci di fronte a quella che è la situazione». Ed è vero che ormai il dibattito prosegue da settimane, tanto da avere indotto i friulani a lanciare un ultimatum. Ci tiene a dire, Però, che le incertezze lasciate dal decreto vivono tutte: «Dal ministero non sono ancora arrivati - erano attesi per i primi di novembre - una serie di chiarimenti interpretativi da più parti richiesti. Del resto, è giusto di ieri la notizia che i teatri di Firenze e di Prato non si uniranno: un’altra dimostrazione che il problema non è sentito solo da noi».
A Udine intanto stanno a guardare. Sottolineando, nelle parole del presidente del Css Alberto Bevilacqua, che comunque sin qui per un’eventuale fusione «un progetto di fattibilità, per come si definisce nella sostanza, non è stato fatto». Il Css resta «disponibile», aggiunge, rispettando «ogni decisione verrà presa in autonomia dallo Stabile» perché lo scenario tracciato dal decreto Franceschini è in effetti «incerto». Ma se il Rossetti rifiuterà l’unione, il Css ha invece già chiara la strada alternativa da intraprendere in solitaria: «Siamo molto sereni nell’affrontare un cambiamento così importante, anche nel caso in cui si debba procedere verso un nostro riconoscimento da Teatro stabile di innovazione a Teatro di rilevante interesse culturale». E la Regione, che cosa dirà?
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