Rossetti e Contrada: «Teatri stabili a rischio se resta la riforma»

Nella bozza ministeriale soltanto quattro enti “nazionali” e una gerarchia per i finanziamenti triennali di tutti gli altri
Di Gabriella Ziani

Fino a ieri erano avvolti da una enorme incertezza e non sapevano come programmare la prossima stagione, adesso che è caduto il governo il dubbio raddoppia: i teatri stabili sono rimasti in mezzo a un guado, con una bozza di riforma firmata dall’ormai ex ministro Massimo Bray che nel buon intento di dare razionalità (soprattutto economica) a un settore di produzione culturale estremamente frastagliato aveva previsto, come punto di partenza, che in Italia sarebbero rimasti solo quattro “teatri nazionali” direttamente finanziati dallo Stato. E per tutti gli altri 63 teatri stabili d’Italia? Una graduatoria sulla base dell’«interesse pubblico», del numero di repliche, della capienza, dell’attenzione verso il proprio territorio. Ma con finanziamento su base triennale e non più annuale.

La bozza ha continuato tanto a girare che la data-limite dei primi giorni di febbraio in cui il decreto legge si sarebbe dovuto trasformare in legge a tutti gli effetti è ben che saltata, lasciandosi dietro un sapore amaro. «Una gerarchia ci vuole sicuramente perché non possono esistere in Italia 800 teatri di produzione - dice il presidente dello Stabile Rossetti, Milos Budin -, ma per farla bisogna avere dei criteri validi: è possibile pensare che in un paese di 60 milioni di abitanti restino solo quattro “teatri nazionali”? Che il Rossetti, secondo questo schema, venga penalizzato perché ha una sala molto grande, mentre si vuol premiare il numero di repliche, deprimendo le “tournée”? Siccome il potere delle lobby è sempre forte - prosegue Budin - non si ha il coraggio di fare delle scelte vere e ci si inventa dei parametri. Su di noi avrebbe pesato poco e niente che oltre il 60% del nostro finanziamento viene dalle produzioni e dai biglietti, e che abbiamo un record di spettatori: 90 mila in tre mesi».

Tra le regole che Bray aveva tentato di introdurre c’era anche il divieto, per un direttore di teatro, di produrre proprie regìe. E dunque per il regista Antonio Calenda, direttore del Rossetti dal 1996, che ha firmato una quantità di spettacoli, sarebbe sceso un cartello di “stop” o per un verso o per l’altro.

Nel dubbio profondo è anche Livia Amabilino, presidente dello stabile privato La Contrada: «Abbiamo vissuto per mesi tra bozze “bocconiane” e voci che si rincorrevano, senza alcuna consultazione: il nostro mondo vive in una drammatica incertezza, ma che cosa vogliono da noi? Non sappiamo che cosa dobbiamo produrre per restare nei termini, e però siamo già ora obbligati a predisporre la stagione 2015. Ci volevano obbligare a fare almeno il 50% delle repliche in sede, ma Trieste è troppo piccola perché si possa reggere, e inoltre era prevista una valutazione a posteriori delle stagioni, così da annullare eventualmente il finanziamento assegnato 3 anni prima. Un’assurdità, e una discrezionalità enorme. Bisogna prevedere almeno una parte di quota fissa». La Contrada ha ricevuto circa 460 mila euro di Fus (Fondo unico per lo spettacolo) nel 2013, il Rossetti ha avuto praticamente un milione (più 923 mila euro dalla Regione e 470 mila dal Comune) guadagnando quasi 1,7 milioni da biglietti, abbonamenti e vendita di spettacoli. Che fine farà la bozza? Adesso bisognerà fare prima un ministro.

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