Roma bacchetta Picchione: «Divieti sproporzionati»

Il capo dell’ufficio legislativo dei Beni culturali sul patto ministero-Regione in materia di déhors: la Soprintendenza applicava le norme troppo rigidamente
Silvano Trieste 01/07/2013 Palazzo Economo
Silvano Trieste 01/07/2013 Palazzo Economo

Dai maxitendoni per il Carnevale prima e per la Bavisela poi fatti smontare in fretta e furia, sino alla defatigante trattativa sui déhors. A Trieste così come in altre località della regione. Una partita lunghissima, quella che si è giocata in tema di arredi esterni dei locali, ma anche di strutture montate per manifestazioni sportive o fieristiche temporanee. «Abbiamo superato quello che ormai era un problema per amministratori e imprenditori, e mi riferisco alla soprintendente regionale», ha detto la presidente della Regione Debora Serracchiani commentando, a inizio giugno, il protocollo d’intesa fra ministero dei Beni culturali e Regione che ha in massima parte cancellato la necessità di autorizzazione monumentale obbligatoria per tavolini, sedie e altre strutture mobili.

E se quello è stato il commento netto della governatrice, da parte di Roma - emerge ora - l’amministrazione centrale dei Beni culturali ha ritenuto «necessario» il dovere così intervenire in modo «risolutivo». Perché la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici retta da Maria Giulia Picchione aveva agito «secondo criteri di rigida lettura del dato normativo, tali da generare e inasprire i conflitti e da pregiudicare» obiettivi «di buona amministrazione imparziale che devono sempre ispirare l’azione amministrativa». Da qui il protocollo. Giunto dopo «vani tentativi di ragionevole composizione del conflitto a livello locale».

Caso Picchione, relazione depositata
Placeholder

È una sottolineatura precisa e di peso quella contenuta nella nota indirizzata alla Direzione regionale per i beni culturali e ad altri uffici ministeriali. A firmarla è il capo dell’Ufficio legislativo del ministero Paolo Carpentieri, che risponde a una serie di quesiti e dubbi su interpretazione e applicazione del protocollo sollevati dalla stessa Soprintendenza. Dubbi espressi in un documento che Carpentieri giudica esso stesso «emblematico», in quanto versato «in una direzione di puro contrasto e generalizzato divieto, indistintamente imposto su qualsiasi attività antropica». Un approccio - e il concetto è chiaro sebbene espresso con linguaggio burocratico - «lungi dall’ispirarsi ai fondamentali principi di leale collaborazione con gli altri enti territoriali competenti, di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, di partecipazione e condivisione da parte delle collettività interessate, di ragionevolezza e proporzionalità e di minimo sacrificio delle libertà per il conseguimento degli obiettivi di tutela».

Il capo dell’ufficio legislativo ministeriale sottolinea l’«interpretazione e applicazione rigida e sproporzionata» della direttiva Ornaghi che nel 2012 mirò a rafforzare le misure di tutela nelle aree pubbliche di particolare valore o vicine a monumenti particolarmente frequentati dai turisti. Carpentieri comunque si sofferma a dare chiarimenti su vari punti, compreso il fatto che il protocollo Ministero-Regione sta nella cornice del Codice dei beni culturali. E tra gli altri punti, cita anche gli arredi esterni che, come scritto nel protocollo, si possono rimuovere a fine giornata lavorativa. Si possono «astrattamente» rimuovere, precisa: è impensabile pretendere di verificare che ogni giorno fioriere o divisori siano riposti dentro bar e ristoranti a fine attività.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo