Riciclaggio in Slovenia, ora tremano i politici
LUBIANA Agghiacciante il quadro che viene presentato dalla relazione finale della commissione parlamentare della Slovenia sul riciclaggio di denaro sporco. Il Paese appare come una sorta di “lavatrice” di contante dalla provenienza criminale e di traffico di denaro per commerci illeciti. Attraverso il groviera del sistema bancario sloveno tra il 2009 al 2017 sarebbero transitate somme enormi ben oltre i 3 milioni di euro. Invischiati faccendieri iraniani, serbo-bosniaci e la mafia italiana.
La relazione è solo parzialmente pubblica, gran parte è stata secretata per la grossa valenza politica che assume, coinvolgendo in una parte anche l’attuale capo di Stato, Borut Pahor, all’epoca dei fatti contestatigli capo del governo. Per consultare la parte secretata i deputati sloveni devono esere autorizzati e potranno farlo solo all’interno di una stanza posta nelle cantine del palazzo del Parlamento. Secondo le indiscrezioni trapelate e riportate dal Delo di Lubiana, la parte relativa alle transazioni proibite iraniane messe in atto dal faccendiere Farrokh e cioè tra il 2009 e il 2010 lo Stato avrebbe rinunciato a qualsiasi controllo sugli 800 milioni transitati attraverso la Nova Ljubljanska Banka (Nlb) e poi scomparsi in una miriade di conti correnti europei. Posto che l’Iran all’epoca era sotto embargo e che il denaro riciclato molto probabilmente è servito o al traffico di armi o all’implementazione del sistema nucleare di Teheran, in quel lasso di tempo, sempre secondo la commissione, sarebbe stata messa a rischio la stessa sicurezza nazionale e premier era l’attuale presidente della Repubblica, Borut Pahor. Pahor che si difende affermando che in quegli anni non aveva saputo nulla dei traffici iraniani, che nessuno lo aveva informato, di non aver letto le informative dei servizi segreti e di aver saputo della questione lo scorso anno quando è divenuta di dominio pubblico. Sta di fatto che la commissione oltre Pahor accusa l’allora ministro dell’Economia, Franc Križanič e l’allora ministro degli Esteri Samuel Žbogar, mentre ritiene che il capo della sicurezza nazionale di quegli anni, Darko Lubij non dovrebbe più lavorare nella pubblica amministrazione. Oltre al filone mafioso che conduce alla ’ndrangheta calabrese e di cui non si è riusciti a quantificare il traffico, certamente milionario, c’è il filone serbo-bosniaco dell’inchiesta che coinvolge direttamente un noto avvocato della Republika Srpska, Dijana Đuđić il cui nome è salito agli onori della cronaca perché coinvolta in un prestito di 450 mila euro al Partito democratico (Sds) di Janez Janša, prestito vietato dalla legge slovena e che la Sds si è affrettata a restituire e non si sa ancora quali saranno a tale proposito i passi della magistratura slovena.
Ebbene la Đuđić dal 28 novembre del 2016 al 23 giugno del 2017 attraverso la Nova Kreditna Banka Maribor (Nkbm attraverso la quale avrebbe operato anche la mafia italiana e il cui ad di allora Primož Britovšk, ex agente dei servizi segreti e membro della Sds, è stato denunciato) avrebbe prelevato da un conto intestato fittiziamente a Bojan Savanović 2,3 milioni di euro. Alla Nkbm precisano di aver chiuso il conto della Đuđić e di averla denunciata all’Ufficio per la lotta al riciclaggio del denaro sporco. Đuđić che è attiva anche in Austria dove l’anno scorso si è beccata una denuncia, sempre per sospetto di riciclaggio, dopo che le autorità di Vienna avevano notato un transito di ben 3,045 milioni di euro attraverso le proprie banche (sarebbe coinvolta anche la Spaarkasse) in conti correnti a nome di Jelena Sladojević ma di fatto gestiti dalla Đuđić e da un certo Rok Snežić. Difficile pensare che l’abile avvocato di Banja Luka potesse avere somme così elevate di sua proprietà, gli inquirenti pensano piuttosto che lei sia una sorta di “trafficante di denaro sporco” la quale riceva poi una percentuale sulle somme che è riesce a riciclare.
Lubiana dovrà ora scoprire se anche il denaro prestato alla Sds fosse di provenienza illecita e in quale banca slovena Đuđić avesse ancora eventualmente la disponibilità di un conto corrente.
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