Riciclaggio in pizzeria a Trieste, blitz da “Peperino” e “Marinato”
TRIESTE. Un presunto risciacquo di soldi sporchi dietro a una capricciosa e una birra servite al tavolo dell’ignaro avventore triestino. Alla faccia della coccolata isola felice. “Pizza connection” sbarca all’ombra di San Giusto con un codazzo di sospetti. Per la prima volta Trieste viene interessata così da vicino da un’inchiesta che reca il timbro della Dda, la Direzione distrettuale antimafia, e che ieri si è concretizzata in due perquisizioni nelle pizzerie “Peperino” di via Coroneo e “Marinato” sulle Rive. Indagine mirata a scovare l’esistenza di un ponte con il lato oscuro di Napoli e le sue ramificazioni. Con la camorra, insomma.
Non è trascurabile che a dare corpo a tale inchiesta siano stati i verbali delle dichiarazioni rese di recente agli inquirenti triestini da Pasquale Galasso, pentito camorrista di lungo corso. L’ingresso della camorra nelle attività imprenditoriali in terra giuliana è tuttavia, per ora, una possibilità e non una certezza: l’ipotesi di reato principale su cui stanno lavorando attualmente i militari del Comando provinciale della guardia di finanza guidato dal generale Giovanni Padula di concerto con il Nucleo investigativo dei carabinieri di Udine - sotto il coordinamento del procuratore capo di Trieste Carlo Mastelloni, e unitamente al pm Federico Frezza - è il riciclaggio e non il concorso esterno in associazione mafiosa né, tanto meno, l’associazione a delinquere di stampo mafioso.
L’indagine, a oggi, ha nel mirino una dozzina di indagati, di cui la metà - sei - proprio nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia. La lista è coperta in questa fase dal massimo riserbo, anche perché le indagini sono in corso, ma i primi nomi sono comunque iniziati a venire a galla, a trapelare fin dalla mattinata di ieri, quando l’operazione è entrata nel vivo. Un centinaio abbondante di militari di finanza e carabinieri è stato impiegato in una serie di perquisizioni a larga scala (fra la stessa Trieste, Udine, Verona, Milano e Napoli) in 12 abitazioni, in una ventina di sedi societarie e in uno studio legale: luoghi che avrebbero come comune denominatore una holding che gli inquirenti ritengono sia riconducibile a una stessa attività illecita finalizzata, appunto, al riciclaggio.
Il primo a spuntare dalla lista è stato il nome di Pietro Savarese, 54 anni, titolare delle due pizzerie triestine visitate ieri dagli investigatori. Accanto al suo sono emersi quindi i nomi di Candido Augusto Savarese, padre del ristoratore, di stanza in Campania, e di Nicola Taglialatela, avvocato di Napoli, ritenuto partner imprenditoriale dello stesso Pietro Savarese nella catena “Peperino” che conta pizzerie anche a Udine, Verona e Milano. Proprio le città, Napoli a parte, in cui su ordine di Mastelloni sono scattate le perquisizioni, anche se nella capitale del Nord i militari non hanno bussato in nessun locale bensì in un paio di sedi societarie. I posti perquisiti a Trieste sono otto, di cui come detto due pizzerie e il resto diviso tra case e sedi societarie. Tre invece quelli a Udine: la pizzeria “Peperino” di via Zanon, la paninoteca “Mezza libbra” di piazza San Giacomo e un terzo luogo, non un locale pubblico, riconducibile a un professionista friulano. Sette, infine, sono i posti finiti sotto tiro a Napoli. Tra questi, appunto, c’è uno studio legale.
«È possibile realisticamente ritenere che anche il tessuto economico del Friuli Venezia Giulia non possa più considerarsi immune da tentativi compiuti di infiltrazioni della camorra, questa è una regione come le altre, ci si è illusi fosse diversa per motivi storici e forse per limiti investigativi dovuti al fatto che l’organico è di circa un terzo al di sotto del dovuto», il commento di Mastelloni, cui si deve - a quanto si è saputo - la decisione di sentire Galasso, pentito da quasi 25 anni, per approfondire gli eventuali legami fra la camorra e Trieste. Da quei verbali sono in effetti state avviate indagini su 150 conti correnti bancari e sui relativi flussi finanziari.
«Tra gli indagati - si legge nel comunicato ufficiale della Procura - figura un gestore di diverse attività economiche di Trieste intestate a prestanome, uno dei quali risulta aver finanziato società per valori sproporzionati alle proprie capacità economiche. Nell’indagine figura inoltre un professionista che avrebbe svolto il ruolo di “coordinatore” delle attività illegali stipulando contratti commerciali anche per valori milionari, acquisizioni di quote societarie e creazione di holding in diverse città».
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