“Report” infiamma la guerra del Prosecco
TRIESTE. E alla fine la vicenda del Prosecco (e di Prosecco) è diventata un caso nazionale. Perché passi per una produzione ormai abnorme (e incontrollabile) del vino frizzante, e passino anche le polemiche pluriennali sullo scarso approccio, diciamo così, “bio” a quelle coltivazioni. Ma, in ultima analisi, chi si sente cornuto e mazziato nella vicenda, dopo l’accordo-farsa col leghista Zaia e le promesse non mantenute, sono proprio i nostri carsolini.
A farsene puntuale testimone, la puntata di Report di Milena Gabanelli andata in onda su Rai3. «Ci sentiamo presi in giro: il nome del nostro territorio, Prosecco, tutela nel mondo miliardi di bottiglie, ma la quasi totalità degli impegni presi nel 2009 per lo sviluppo di quello stesso territorio non è stata mantenuta»: lo dice Franc Fabec, presidente dell’Associazione agricoltori-Kmecka Zveza che raggruppa la maggior parte degli agricoltori del Carso triestino, commentando le vicende legate al nome del vino italiano più venduto nel mondo con oltre 400 milioni di bottiglie e più di due miliardi di fatturato.
Quella che sta montando attorno ai presunti diritti di utilizzo del nome “Prosecco” dei produttori del Friuli Venezia Giulia «è una grande messinscena che non farà bene al nostro prodotto», replica par suo, a muso duro, il presidente del Consorzio di tutela del Prosecco Doc Stefano Zanette.
Ma chi ha ragione? L’inchiesta televisiva ha messo l’accento sull’accordo, quando cioè Ministero e Regione si impegnarono ad avviare una serie di iniziative per lo sviluppo agricolo delle aree del Carso triestino, come la sistemazione dei costoni e dei pastini e la promozione dei prodotti agricoli tipici della zona.
«Quel protocollo, ci ha detto il ministro delle Politiche agricola Maurizio Martina, è scaduto ad aprile 2016 e non sarà rinnovato - spiega Fabec - ma in tutti questi anni quel protocollo è rimasto praticamente lettera morta. Non è stato fatto quasi nulla di quello che ci era stato promesso. Solo la Regione Friuli Venezia Giulia, e bisogna dargliene atto, ha finanziato, per la sua parte, il Centro per la promozione dei prodotti del Carso in corso di realizzazione nella frazione di Prosecco». «Ci sentiamo presi in giro - aggiunge Fabec -. Diamo il nome del nostro territorio per tutelare e difendere un vino che vale miliardi e noi siamo rimasti a bocca asciutta. In tutti questi anni, sul Carso non è stato piantato un solo ettaro di Prosecco. Il nostro vino è stato e continua a essere la Glera».
Secondo quanto si è appreso dal programma, nel 2015 ben 15mila aziende e 527 cantine sparse nelle province di Treviso, Padova, Vicenza, Belluno, Venezia, Pordenone, Udine, Gorizia e Trieste (si fa per dire...), hanno prodotto 438.698.000 bottiglie per un fatturato di due miliardi e 100 milioni di euro.
Un numero eccezionale ma svenduto. Si parla di meno di cinque euro a bottiglia: se c’è chi le vende a venti euro, c’è chi le svende online a un euro e 80 centesimi. Con danni non indifferenti sotto il profilo dell’immagine.
Di sicuro rimane una “torta” favorita e beneficiata dai nostri produttori, chè diversamente la “doc”, in Veneto, se la sarebbero sognata. Logico, dunque, che vogliano trarne almeno un minimo beneficio, dopo gli “smacchi” di Venezia e di Roma.
«Siamo molto scontenti - rincara la dose Fabec - e siamo stanchi di aspettare. Che siano royalties, diritti di copyright, o qualunque altra cosa, siamo convinti che è arrivato il momento che quegli impegni siano mantenuti e che si faccia qualunque cosa che riesca a portare beneficio al nostro territorio, con un atteggiamento che non è stato tenuto fino ad ora».
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