Quando Italo Svevo progettava gite in bici su un “Vademecum per ciclisti”

di Alessandro Mezzena Lona
Facile immaginare Italo Svevo pigro e sovrappeso. Avvolto in una nuvola di fumo mentre trascorre le sue giornate tra ufficio e casa. Lontano mille miglia da tentazioni salutiste, meno che meno solleticato da soprassalti di sportività. E, invece, è arrivato il momento di riscrivere questo stereotipo legato allo scrittore della “Coscienza di Zeno”. E non solo, si badi bene, per quelle due foto in cui lo si scorge scarmigliato giocatore di bocce, con il cappello alzato sulla fronte sudata, o sorridente frequentatore di bagni di mare.
A cambiare l’approccio con l’immagine canonica di Italo Svevo è un libro smilzo smilzo. Che Simone Volpato, l’editore e bibliofilo capace di portare alla luce l’archivio perduto di Anita Pittoni e i libri dispersi di Carlo Michelstaedter, ha ritrovato nella biblioteca dell’avvocato Cesare Pagnini, podestà di Trieste tra il 1943 e il 1945. Al tempo dei nazisti. Proprio ieri sera, Volpato ha inaugurato la sua Libreria Antiquaria Drogheria 28, in via Ciamician a Trieste.
Assieme ad altri quaranta volumi di proprietà di Ettore Schmitz (tutto sommato prevedibili: le “Poesie” di Umberto Saba nell’edizione del 1911, l’Almanacco triestino della Lega Nazionale, il Regno dei libri del Circolo Artistico Triestino, molti giornali sul teatro) spunta un libretto a dir poco sorprendente. Si intitola “Vademecum dei ciclisti triestini”. Ed è «offerto dal maestro Giuseppe Egger». Stampato dallo Stabilimento tipo-litografico “E. Sambo” di Trieste e Pola, porta la data del 1898. Ma quel che più interessa è che, all’interno, si trova in bella evidenza la firma di Ettore Schmitz e una data: 1909.
E quella data ha un significato preciso. Perché erano anni in cui la scrittura sembrava «un illecito» per l’impiegato Ettore Schmitz. Il 7 giugno del 1901 scriveva alla moglie Livia Veneziani da Tolone: «Non dirlo ai tuoi genitori, ma quando il mio viaggio non sarà complicato da bacini avrò qualche ora di tempo fra una visita e l’altra e la dedicherò a fare una commediola in un atto, solo uno, allegra, allegra».
Per tenersi alla larga dal “vizio” della letteratura, ogni distrazione era ben accolta. Dalle conversazioni con gli amici alle serate di “musizieren” in cui si dilettava da secondo violino. Oltre, ovviameente, a una pratica della letteratura “clandestina”: pagine di diario, racconti, commediole, favole, lettere alla moglie. Niente a che vedere, insomma, con la letteratura “alta”. Che gli aveva regalato solo delusioni.
Leggendo di medici, come Serge Voronoff, che promettevano di ringiovanire le persone con l’innesto di testicoli di scimpanzè, Italo Svevo si era imbattuto in una pratica sportiva molto alla moda all’inizio del ’900. Quella del pedalare all’aria aperta in sella a strane macchine di rara bellezza: le biciclette. Il guru delle due ruote era proprio Giuseppe Egger che si vantava, senza timore d’essere smentito, di essere stato «il primo ad introdurre l’uso della bicicletta tanto a Trieste come in tutto il litorale e nella provincia di Udine». Il Maestro, come si faceva chiamare, vantava una Scuola modello, in piazza Caserma numero 3 nella sede dell’Hotel Europa, dove insegnava a cavalcare le “macchine”. Impartiva lezioni «nel salone appositamente costruito a norma delle più recenti innovazioni».
Ad affascinare Svevo non erano solo le gite in bicicletta che il Maestro Egger descriveva nel libretto. Lo scrittore si era soffermato anche sui modelli di velocipede proposti. Segnando a penna la pagina che presentava la splendida Swift. Un modello uscito dalla fabbrica d’armi di Steyr e battezzata con lo stesso nome di Jonathan Swift, lo scrittore irlandese dei “Viaggi di Gulliver”. Ma l’occhio di Svevo si era fermato anche sulla Diana 24. Gioiello che «si distingue per la costruzione elegante, per leggerezza e scorrevolezza». Ma soprattutto, e qui lo scrittore metteva un tratto di penna a sottolineare la frase, era «adattata per ogni persona, anche la più greve».
Tra i percorsi sui quali lo scrittore sognava di pedalare c’era la Trieste-Servola, di 7 chilometri e mezzo, e poi anche la Trieste-Lipizza-Sesana di 36 e mezzo. Si spingeva a fantasticare di gite, e le sottolineava, verso Gorizia, Palmanova, Fiume. Superando i cento chilometri. Però, sia chiaro, con le sigarette alla mano...
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