Putin annulla la visita in Serbia ed è subito giallo diplomatico

Putin al suo arrivo accolto da Vucic (blic.rs)
Putin al suo arrivo accolto da Vucic (blic.rs)

BELGRADO Una mossa obbligata e comprensibile, dettata dall’emergenza coronavirus. Oppure una bacchettata ben pianificata a tavolino, per punire un amico colpevole di aver troppo trascurato negli ultimi tempi il suo storico alleato. Sono le due opposte campane che risuonano, in Serbia, a proposito di un vero e proprio giallo diplomatico sull’asse Belgrado - Mosca, tema incandescente in questi giorni nel paese balcanico. Giallo che riguarda la visita del presidente russo Vladimir Putin a Belgrado, che sarebbe dovuto arrivare nella capitale serba il prossimo 20 ottobre per celebrare la consacrazione della mega-cattedrale di San Sava e per le cerimonie per la Liberazione di Belgrado nel 1944.

Visita che non era mai stata ufficialmente confermata dal Cremlino, ma più volte evocata dalla leadership di Belgrado. «Ci aspettiamo che, se tutto andrà bene nella lotta contro il coronavirus, anche il presidente Putin sarà presente all'inaugurazione della cattedrale», aveva ribadito solo ad agosto lo stesso presidente serbo Aleksandar Vučić, confermando informazioni da lui annunciate a giugno. Ma Putin, a Belgrado, non si vedrà. È quanto ha scritto l’autorevole quotidiano serbo Danas, che citando fonti diplomatiche ha sostenuto che Mosca avrebbe fatto marcia indietro non tanto per la situazione Covid in patria – e in Serbia – quanto per le ultime piroette in politica estera fatte da Belgrado. «Ai russi» e allo “zar” non sarebbe infatti piaciuto affatto «il recente avvicinamento della Serbia alle posizioni degli Stati Uniti in politica estera», avvalorato dalla firma alla Casa Bianca «di un accordo di normalizzazione economica tra Belgrado e Pristina», sotto l’egida di Trump, ha riportato Danas, citando proprie fonti autorevoli. Mosse di Vučić a Washington che forse sono state lette in Russia come un tentativo di pronunciare un nuovo sonoro «storico no a Mosca», alla Tito, ha sostenuto anche il politico di opposizione Miroslav Parović.

Analisti hanno suggerito lo scenario di un «cartellino giallo» a Belgrado, mentre in tanti hanno ricordato – per corroborare il presunto raffreddamento dei rapporti serbo-russi - l’entrata a gamba tesa della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che aveva preso in giro Vučić per una foto di lui seduto composto davanti a Trump, paragonando il quadretto a una scena di “Basic Instinct”. Ma c’è anche un’altra campana. Le cose scritte da Danas «non hanno alcun rapporto con la realtà», Vučić e Putin «sono in continuo stretto contatto e sempre coordinano le loro azioni», ha assicurato su Twitter l’ambasciatore russo a Belgrado, Alexander Botsan- Kharchenko. A smentire le illazioni, lo stesso Vučić, che ha assicurato che «Putin aspetta di venire in Serbia» ma la situazione epidemiologica in Russia non permetterebbe al momento viaggi all’estero. Neppure in Serbia, Paese non più Giano bifronte – diviso tra Oriente e Occidente – ma ora con lo sguardo rivolto anche a Washington. —

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