Porto di Trieste, le ragioni del declino
MILANO. Ma siamo sicuri che i numeri contano ancora qualcosa? In realtà, più di un sospetto è iniziato da tempo a materializzarsi, osservando quelli sbandierati ciclicamente nei comunicati stampa dell’Autorità portuale di Trieste. Numeri che “parlano” di un porto in salute, con dati di traffico in crescita e con prospettive a medio-lungo termine a dir poco confortanti. Fin qui, tutto bene. Se non fosse che proprio dietro quei numeri si cela un malessere che purtroppo fotografa una realtà parallela, quella sì reale e visibile ad occhio nudo.Se quegli stessi numeri vengono poi vivisezionati, settore per settore, si scopre ad esempio che dicono veramente poco rispetto alla effettiva produttività e alle prospettive di crescita del Molo VII, gestito dalla società Trieste Marine Terminal (TMT) di Pier Luigi Maneschi. Non solo, sembra che anche le previsioni di lungo periodo non siano poi così tanto rosee.
Il sistema-porto
Come dimostra peraltro, sempre numeri alla mano, un’attenta analisi di un blogger locale, l’Alabardado Incazzado (di nome e di fatto), che si è preso la briga di studiare l’andamento del sistema-porto nel suo complesso, «intendendo – puntualizza lui stesso – non solo l’organizzazione portuale triestina ma in modo più ampio tutto ciò che sta accadendo nell’intera area nord-adriatica». Lo ha fatto riprendendo testé la cronaca portuale de “Il Piccolo” dell’ultimo mese, che racconta (ancora una volta) una storia diversa, rispetto ai dati positivi diffusi dall’Authority: spedizionieri in fuga da Trieste a Capodistria, “record” di traffici e cassa integrazione in banchina. E molto altro ancora. Fino a riesumare l’autorevole studio redatto dalla MDS Transmodal su commissione del Napa (North Adriatic Port Association), nel quale vengono analizzate le prospettive di crescita dei traffici al 2020 e al 2030, da cui si evince che nei contenitori Trieste crescerà meno sia di Luka Koper che di Venezia. Ma restiamo ai giorni nostri, e procediamo per gradi: ultimamente, come è noto, è stato molto pubblicizzato il fatto che al terminal container Molo VII c’è stato il revamping di due gru di banchina che potrebbero finalmente operare su navi da 13500 teu, anche grazie alla disponibilità dei fondali naturali da 18 metri che caratterizzano il porto di Trieste. Fin qui (ancora una volta) tutto bene. Però, solo in apparenza: perché inizia a serpeggiare un dubbio sulla concreta capacità delle due gru. Le quali, si dice, non sarebbero idonee ad ospitare navi di tale stazza. E non per lo “sbraccio”, cioè la larghezza, sulle 20 file di container che questi mostri trasportano. Ma per l’altezza dal momento che questo tipo di imbarcazioni può avere, a pieno carico, fino a 8 livelli di container sul ponte. Livelli che le due gru, nonostante il revamping, non sono in grado di movimentare. Proprio per questo motivo, si vocifera tra gli addetti ai lavori che queste potrebbero operare al massimo su navi da 8800 teu o poco più (quelle che abitualmente scalano il terminal Sech e Genova, e che presto dovrebbero andare anche a Livorno). Peccato che le compagnie di navigazione stiano sempre più utilizzando portacontainer da 13500 teu. Per non parlare poi delle navi di nuova generazione, quelle da 16.000 e 18.000 teu, che difficilmente andranno mai a Trieste. Purchè non si torni alla ragione, e non si faccia a Monfalcone il grande terminal che avrebbe voluto la Maersk Lines, il più importante armatore al mondo nel settore dei container.
I record di Capodistria
Il fatto certo è che - con l’avvento della società terminalistica filippina ICTSI - il porto di Capodistria ha messo la quinta marcia, e sta acquisendo traffici a tutto spiano in parte grazie anche a migliori collegamenti ferroviari con il mercato del centro Europa. Il loro progetto di raddoppio su rotaia è molto più avanti rispetto a quello triestino. Un indicatore della vivacità di Luka Koper è confermato peraltro dai volumi del porto sloveno che sono già oggi in crescita a doppia cifra. E cresceranno ancora di più quando i fondali del terminal contenitori, entro maggio 2014, passeranno dagli attuali 14,50 a 17,50 metri potendo così ospitare le navi da 13.500 teu che a quel punto potrebbero scalare solo il porto sloveno, tagliando fuori Trieste.
Il futuro imminente, però, è anche peggiore della realtà odierna. E questa volta non sono i numeri o le “malelingue” a decretarla ma i fatti nudi e crudi. Il primo segnale, per certi versi epocale, è arrivato da Rail Traction Company (Rtc), società ferroviaria del gruppo tedesco Kombiverkher, numero uno in Europa nell’ambito dei trasporti intermodali, che ha messo definitivamente la parola fine al progetto avviato con Maersk Lines e Bmw per collegare il Far East al Centro Europa attraverso il porto di Trieste. Addirittura c’è chi legge in questa decisione l’inizio delle grandi manovre teutoniche per far fuori non solo Trieste ma l’Italia intera dal mercato logistico che conta.
Grandi manovre che di fatto sancirebbero il definitivo insuccesso della politica nazionale dei trasporti ferma ormai da 15 anni. Il tutto sta accadendo sotto i nostri occhi, e a poca distanza proprio dai confini giuliani, sebbene – a quanto sembra – siano in pochi ad averne colto il rischio reale.
Le manovre tedesche
A corroborare inoltre suddetta tesi è una notizia filtrata qualche giorno fa su una futuristica alleanza fra Slovenia e Germania, che sfocerebbe nell’acquisto del porto di Capodistria e delle ferrovie slovene da parte del colosso tedesco DB Schenker. Un accordo dai contorni ancora poco chiari ma che in prospettiva prevede la realizzazione del raddoppio ferroviario fra Capodistria e Divaca, il cui costo come noto si aggira intorno al miliardo di euro.
Un’opera infrastrutturale faraonica che di fatto farebbe svanire l’idea del Corridoio adriatico-baltico, sostituito dalla parallela linea Koper-Lubiana. A questo punto, gli stessi corridoi Genova-Rotterdam paiono a rischio (Genova al massimo potrà puntare ad un pezzo della pianura padana servita dal Nord Europa).
Se tale progetto (come sembra) venisse realizzato, molti dubbi potrebbero sorgere - in un periodo di “vacche magre” come questo - nei confronti di importanti investimenti su Genova (porto e Terzo Valico) e su Venezia (porto off shore). Soprattutto poi se DB Schenker collaborasse sulla Slovenia con il cartello “P3” Network: cioè, l’alleanza monstre tra le tre più grandi compagnie marittime al mondo per il trasporto di container (Maersk Lines, Cma Cgm e Msc) che, a partire dal secondo trimestre del 2014, aprirà una nuova Era nel mondo dello shipping. Che, come più attenti osservatori paventano da mesi, escluderebbe dalle linee principali di traffico molti porti del Sud Europa. Incluso Trieste, naturalmente.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo