«Per la cultura a Trieste lascio un disegno chiaro: Carciotti al centro»
Sostiene che «il disegno per la cultura» a Trieste ci sia. E si debba ora solo portarlo a compimento. Ammette di essere stato, causa motivi di salute negli ultimi tempi, meno presente di quanto sarebbe stato lecito attendersi. Non nasconde di aver avuto qualche confronto acceso con il sindaco e sentenzia: «Trieste può essere un modello». Un Franco Miracco a tutto campo, quello prossimo all’addio al Comune di Trieste. Le sue dimissioni da assessore alla Cultura, già ufficialmente confermate, saranno firmate nei prossimi giorni. Roberto Cosolini è già a caccia del successore.
Miracco, è vero che lascia l’incarico da assessore solo per ragioni personali?
Sì, sono motivi di salute, come mi pare abbia ricordato anche il sindaco. È l’unica ragione. Si tratta di un lavoro impegnativo e faticoso: facendo quasi il pendolare per molto tempo fra Venezia e Trieste, non era facile. Un impegno che ho seguito con grande interesse e curiosità, e a cui ho tenuto molto. Mi spiace interromperlo ma non posso più disubbidire ai medici.
Non c’entra il rapporto con il sindaco? Pare non siate sempre andati d’accordo...
Ci sono state discussioni, come dire, appassionate da parte di tutti e due perché appunto l’obiettivo era di riuscire a dare una risposta all’altezza di quello che si merita Trieste, facendo i conti con le difficoltà finanziarie. Un fatto generale e diffuso. Siccome siamo due caratteri anche sanguigni, qualche volta abbiamo discusso. Per Cosolini ho grande stima: mi ha offerto un’esperienza importante.
Dovesse tornare indietro, rifarebbe le stesse scelte? Consulente e poi assessore?
No, il consulente è una figura che credevamo tutti e due (lui e Cosolini, ndr) funzionasse. Non è così. Se non sei dentro la macchina, diventa difficile. Il consulente resta sempre all’esterno: è stato giusto il passaggio alla delega assessorile. Il personale con cui ho lavorato l’ho trovato di grande qualità e professionalità.
Era arrivato annunciando la riforma del sistema museale triestino, «da rivoltare come un calzino e ripensare dalle fondamenta». Lascia un’incompiuta.
Nelle mie avventure di politica culturale, ho pensato ogni volta che il modello è sempre lo stesso. Cioè mostre fatte in rapporto al patrimonio dei musei. Resto convinto che questa sia la strada giusta, ma servono soldi. Per mescolare le straordinarie collezioni che ha Trieste e farle diventare parte della storia politica e civile della città, devi avere dei soldi e un punto fermo.
Quale?
Palazzo Carciotti. Ci vuole un centro espositivo culturale, poi un corollario attorno. Un altro punto centrale può essere il Museo Ferroviario e, ancora, il polo di via Cumano.
Non lascia solo quell’incompiuta: ad esempio, la nuova installazione di Kounellis al de Henriquez?
Per forza di cose lascio un percorso incompiuto: finanze e tempi contano. Ho avuto due traguardi, nei due anni, da rispettare ogni volta: Trieste Estate. Ma guardiamo a Venezia, se si toglie la Biennale c’è il niente: la città è travolta da una presenza mostruosa del turismo che l’ha annientata.
Scusi, ma Kounellis allora?
Sì, la promessa c’è: non voglio lasciarla cadere. Quell’impegno per il de Henriquez resta. Credo lui ci abbia lavorato. Prima, lo sforzo per il Museo è stato di giungere a compimento con l’apertura. E spero prima o poi arrivino i finanziamenti dalla Regione per Palazzo Biserini in piazza Hortis. Questa è un’amarezza. Ritornando a via Cumano, se l’amministrazione comunale lo seguirà con lungimiranza, può diventare un polo museale estremamente interessante fra Storia naturale e de Henriquez. Il disegno per la cultura c’è già. E include il Gopcevich, da svuotare da uffici e consegnare alla cultura. Il Carciotti e via Cumano come detto. Il disegno c’è, basta portarlo avanti. Con Cosolini si è tracciata la strada.
L’hanno accusata di essere un assessore assente.
Negli ultimi tempi è vero, ho avuto questi problemi di salute, in maniera seria fra maggio e giugno. Con un affaticamento dovuto anche all’orario che facevo da pendolare. Questo mi ha poi portato a decidere di lasciare. Sono stati circa due anni, nel primo ho partecipato a quasi tutte le commissioni, apprezzando molto anche gli interventi dell’opposizione.
Saputo delle sue dimissioni, l’assessore regionale alla Cultura (ora privato delle deleghe causa indagine a suo carico in corso) Gianni Torrenti non è stato tenerissimo: «Franco Miracco era un eccellente consulente. Ma Trieste ha bisogno di un vero assessore alla Cultura. Un assessore più sul pezzo».
Mi è un po’ dispiaciuto perché credo di aver operato nei limiti delle mie condizioni materiali. Ho fatto delle scelte: qualche volta forse volutamente non ho risposto o non ho curato il rapporto per non illudere. È meglio dire subito quando non ce la fai. Penso di aver dato. Certo, è ovviamente augurabile che chi seguirà in questo impegno sia perlomeno residente a Trieste sul serio: è una fatica ed è bene starvi. Comunque, non ho rimorsi di coscienza. E non commento la questione dell’indagine in corso.
Il rapporto con il mondo della cultura locale?
Ho conosciuto operatori culturali, una rete di associazioni, come pure una di librerie, importanti. Tante cose mi resteranno. Penso a Gabriele Centis, a Chiara Valenti Omero, al Miela, al rapporto con gli sloveni su cui sono stati fatti grandi passi avanti nel tempo.
Nel futuro del Salone degli incanti dev’esserci la scienza o altro? Su questo ha litigato con il sindaco?
Con l’Immaginario scientifico il Museo può essere tentato e va fatto. Il Salone degli incanti è un luogo affascinante, ma l’Is non può avere solo quello per un Museo della scienza: servono anche altri spazi. Io sono per il rispetto degli impegni. Pensando però a quelli del 2014 e all’esposizione sul caffè nel 2015. Io e il sindaco su questo non abbiamo avuto contrasti. Trieste ha bisogno di allargare i propri spazi culturali. C’è da lavorare lì.
Le grandi mostre possono e devono essere una strada?
Non ho mai creduto nelle grandi mostre. Sono legato a una concezione ben precisa: da una parte recepisci le trame di una grande storia ma sul posto hai architetti, pittori, materiale per cui puoi fare una grande mostra ben radicata sul tuo patrimonio. Nella mia vita ne ho curate 250.
Chi vedrebbe bene come suo successore?
Un giovane. Non un “nonno”, come detto di Miracco (scherza sulle ironie del centrodestra su di lui, ndr). Ne ho trovati due, se non tre, uomini e donne: lavorano come operatori culturali da anni, nel tessuto della città. C’è da tenere conto di persone che abbiano l’esperienza di aver lavorato nel rapporto col Comune. Sarà il rush finale del mandato, quindi meglio non gente che debba imparare da zero.
Continua a pensare che i teatri a Trieste siano troppi?
Lo pensavo. Solo se le realtà sono effimere, inconsistenti, puoi tagliare. Invece qui ho fatto una grande scoperta: di realtà incardinate nella cultura della città e di ricchezza di capacità, che va dal dialetto in poi. Mi auguro che lo Stabile si avvii sulla strada di un direttore artistico che sia di queste terre. E auspico che ci sia la possibilità di buoni rapporti con lo Stabile del Veneto.
Resterà nel cda del Verdi?
Fino a quando non scade l’incarico, a dicembre, rimango. Continuo a mantenere così un rapporto con la città e se mi dovessero rinnovare nel cda per scelta del ministero, ci resterei ancora.
Ha qualche sassolino da togliersi dalle scarpe?
No, sassolini no. Ma ho un altro auspicio: che vi sia un maggior contributo dei privati alla cultura di Trieste. Una città nata dai privati, alla quale bisogna che questi diano di più. Dalle fondazioni bancarie ai piccoli. Devono aiutare, lo possono fare. Lo facciano. Ultimamente ho avuto difficoltà a dormire qui, negli alberghi: penso ci sia una crescita del turismo, no? Io credo di sì. Il ritorno c’è, è assicurato. Trieste è città da cui si resta affascinati. Può dare l’esempio, creare un modello, per fare turismo alla grande.
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