Pattuglie miste in bilico ma il piano trasferimenti supera il banco di prova
TRIESTE Gli arrivi di migranti in Friuli Venezia Giulia continuano a crescere, ma il sistema dei trasferimenti funziona e così la presenza di richiedenti asilo registra una sensibile diminuzione. Il piano di smistamenti voluto dall’ormai ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per la regione sta dando i suoi frutti, mentre si rivelano un buco nell’acqua le pattuglie miste italo-slovene, il cui futuro pare a questo piuttosto incerto.
Arrivi e trasferimenti
I dati sulla situazione dell’immigrazione sono stati forniti ieri dai quattro prefetti del Fvg, invitati in audizione davanti alla Sesta commissione del Consiglio regionale. Le cifre dicono che, a fronte di 5.526 ingressi in regione da inizio anno, il numero di richiedenti presenti sul territorio al 16 settembre ammonta a 2.951, contro le 3.651 unità di due mesi e mezzo prima. Erano cinquemila all’inizio del 2018. Il merito sta nella cessazione dei trasferimenti dal Sud Italia e negli arrivi dall’Austria, che hanno portato le presenze alle 3.700 della primavera: un forte impulso alla tendenza lo ha dato poi il piano del Viminale che da inizio luglio ha trasferito fuori dal Fvg 1.312 richiedenti, comunque inferiori ai 2.328 arrivi registrati nello stesso periodo.
Le cifre fornite ieri sono le prime ad avere il crisma dell’ufficialità da tempo, visto che l’apposita sezione del sito della Regione è ferma alla fine di febbraio e quella del Viminale riporta informazioni solo sulla rotta mediterranea, che con le sue settemila unità pare di poco superiore per volumi a quella balcanica. «Le presenze - sottolinea ad ogni modo il prefetto di Trieste e commissario di governo Valerio Valenti - sono diminuite negli ultimi mesi grazie al piano di redistribuzione, che ci ha permesso di gestire il periodo estivo, evitando che il sistema andasse in default a causa del gran numero di arrivi. I migranti sono stati dislocati in altre regioni, alleggerendo la presenza sul territorio e creando condizioni migliori per chi arriva, visto che la rotta balcanica continua a essere aperta. Nessuna deportazione: le persone sono state individuate d’intesa con gli enti gestori». Il piano straordinario ha permesso di spostare 712 persone da Trieste (più un altro migliaio di trasferimenti ordinari), meta più battuta della rotta balcanica, cui si affiancano 200 uscite da Gorizia, 300 da Udine e 100 da Pordenone: numeri cui si sommano i trasferimenti ordinari e che hanno permesso di ridurre le presenze pur in una fase di arrivi intensa, con 150-300 ingressi censiti a settimana.
Il flop pattuglie
Valenti nota che «il pattugliamento lungo l’asse confinario è aumentato e ha prodotto risultati apprezzabili: la stragrande maggioranza degli ingressi è stata rintracciata da attività di polizia, integrata grazie all’aumento di uomini e al contributo dei militari». In particolare sono 3.509 i richiedenti fermati dalle forze dell’ordine da inizio anno, mentre 2.017 si sono presentati spontaneamente agli uffici di polizia. Non si sa invece quanti abbiano usato il Fvg come passaggio verso il Nord Europa, non venendo intercettati.
Il prefetto di Trieste ammette invece la scarsa incidenza delle pattuglie miste. «L’attività - dice Valenti - non è di grande successo: le persone fermate sono una cinquantina. Con quattro turni di 6 ore per settimana non è possibile far meglio. Il 30 settembre scadrà la sperimentazione: attendiamo dal ministero di sapere se l’attività verrà proseguita, accresciuta o accantonata. C’è però scarsa disponibilità di agenti sloveni, che sono pochissimi». Al prefetto non resta che invocare «un incremento della formula, perché l’obiettivo è spostare dall’altra parte i controlli e far sì che la richiesta di asilo e le regole di Dublino scattino in Slovenia e non da noi». Un’affermazione che forse è anche la spiegazione dello scarso interesse di Lubiana a sostenere un’operazione che avvantaggia soprattutto l’Italia. Valenti evidenzia allora che «bisogna capire però quanto la Slovenia è disposta a investire e quanto le nostre forze possano supportare turni sulle 24 ore per tutta la settimana».
L’emergenza che non c’è
Nel corso dell’audizione i prefetti hanno tracciato un quadro rassicurante. Per Valenti, «fenomeni criminosi legati alla presenza di migranti sono presenti ma vengono gestiti in modo assolutamente idoneo e sono sotto controllo». A Trieste sono poi stati chiusi i quattro alberghi (200 posti in totale) che ospitavano richiedenti e che «creavano un problema di percezione di sicurezza». Per il prefetto, «è meglio mantenere viva l’accoglienza diffusa, che ha dimostrato di funzionare». Valenti garantisce inoltre su «assenza di patologie infettive e sostegno alle fragilità psicologiche dei migranti».
I problemi di gestione
I prefetti non hanno nascosto le difficoltà organizzative sorte dopo la drastica riduzione della somma pro capite giornaliera stanziata dal governo per l’accoglienza. I 21 euro hanno prodotto gare deserte per l’affidamento dei servizi di accoglienza: si è ricorsi così a trattative negoziate, che sono ancora in corso a Trieste e che in generale hanno creato un abbassamento dei costi ma non nella misura prevista dall’allora governo gialloverde. Tra le altre criticità figura la pressoché totale assenza di rimpatri volontari, su cui pure la giunta Fedriga ha inteso investire alcune centinaia di migliaia di euro: se ne contano però meno di dieci per provincia. Problema rilevante è infine la lentezza delle procedure d’asilo. Nel 2018 sono state esaminate 2.533 pratiche con 1.447 dinieghi e nel 2019 i dossier ammontano per ora a 1.850. Il primo giudizio arriva entro un anno dalla richiesta e, in caso di rifiuto, si passa al ricorso in tribunale, con altri due anni di attesa. I richiedenti possono dunque trascorrere anche tre anni nel sistema dell’accoglienza. Lente pure le procedure di trasferimento dei dublinanti, ovvero di chi è stato identificato per la prima volta in altri Paesi europei: in Fvg ce ne sono 700 ma le restituzioni sono incagliate. —
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