Paola e Giulia, le due vigilesse del fuoco di Trieste: una sfida a incendi e pregiudizi
TRIESTE Giulia ogni tanto si allena portando sulle spalle il marito su e giù per le scale: 80 chili che servono a cesellare una schiena già super scolpita, tipica di chi arrampica. Paola non si ferma davanti a niente: in questi anni ha visto di tutto e quando, per proteggerla, i colleghi avrebbero voluto risparmiarle il faccia a faccia con qualche disgrazia, lei ha detto «no, è il mio lavoro».
Giulia De Petris e Paola Occhioni, due delle pochissime vigili del fuoco donne a Trieste, entrambe ancora inquadrate come personale discontinuo (sostitute) ed entrambe con un primato. Paola è stata la prima, assieme a una collega, a vestire la divisa in città nel 2006; Giulia invece quasi certamente diventerà la prima vigile del fuoco donna a pieno servizio a Trieste, regolarmente assunta con concorso nazionale.
Storie di donne che sono riuscite a varcare la soglia di un mondo da sempre maschile, suscitando curiosità e simpatia: «Più di qualcuno non sa nemmeno che esistiamo - raccontano - e in molti rimangono sorpresi, piacevolmente colpiti quando ci incontrano in occasione di qualche intervento. I bambini, in particolare». Donne animate da un entusiasmo e una passione enormi, per un mestiere che è prima di tutto una missione.
De Petris e Occhioni sono due delle otto donne operative nel Comando provinciale dei Vigili del fuoco, su una settantina di vigili discontinui a disposizione. Si tratta di lavoratori con un ruolo volontario di supporto al personale regolarmente in servizio a tempo pieno. Quando necessario, per coprire periodi di ferie o malattie, vengono chiamati in servizio per due settimane e lavorano, con turni su notte e giorno, come i colleghi in pianta stabile. In città, come detto, degli oltre 70 discontinui a disposizione del Comando provinciale, solo otto sono femmmine.
Di donne vigili assunte in organico stabilmente con concorso, invece, non ce ne sono (nel resto della regione sì, ma sono comunque pochissime) e non ce ne sono mai state, a eccezione della comandante Natalia Restuccia (dal computo si esclude il personale amministrativo).
Giulia de Petris, 41 anni in aprile, potrebbe (anzi, dovrebbe) essere la prima: nel 2017 ha vinto il concorso ed è entrata in graduatoria; ora attende la chiamata per recarsi a Roma, seguire il corso di formazione di nove mesi e poi tornare nella sua città con la divisa cucita finalmente addosso, da indossare non più a chiamata, ma in ogni giorno lavorativo della sua vita. Commessa in un negozio di articoli sportivi, mamma di Eva, 22 anni, in casa respira avventura e adrenalina anche grazie al marito, Luca Visintin, pure lui vigile del fuoco, nel servizio Sommozzatori. «Lui lo è diventato grazie a me - scherza Giulia - perché nel 2008 abbiamo tentato il concorso entrambi, su mia insistenza. Per lui, geologo, non era in programma: è venuto con me e lo ha vinto, mentre io no». L’attesa per il successivo concorso nazionale è stata lunga, fino al 2017, ma in quel caso ha centrato l’obiettivo. «È il mio sogno più grande da sempre - racconta - la mia passione. Adoro tutto di questo mestiere: aiutare gli altri, l’adrenalina, l’odore del garage in caserma, tutto. Ho fatto tante cose fino a oggi, dagli incendi alle attività di manutenzione e stuccatura in caserma. Opero come vigile discontinuo dal 2007 - racconta ancora Giulia De Petris -; fino a qualche anno fa riuscivo a fare anche sei richiami all’anno, di tre settimane ciascuno, mentre adesso purtroppo, tra tagli e Covid, le opportunità si sono ridotte. Ma ora aspetto la chiamata a Roma, spero arrivi presto. Se tutto andrà come previsto, potrei entrare in organico entro due anni».
Paola Occhioni, invece, è la veterana. Collaboratrice sportiva in una associazione, innamorata dei due gatti Joe e Milù, anche lei è sposata con un vigile del fuoco, Fabrizio Paoletti. «Ma non abbiamo mai partecipato a interventi insieme - spiega - perché giustamente per regola si evita di inserire familiari nella stessa squadra. Quindi quando io sono in servizio ci mettono in turni diversi, magari io di giorno e lui di notte o viceversa». Paola è stata, assieme a una collega, la prima donna vigile discontinuo a Trieste nel 2006. «In questi anni ho fatto di tutto - racconta - incendi, apertura porte, soccorso persone in casa e in ascensore, ovviamente sempre a disposizione del caposquadra, che mi ha permesso di imparare sul campo. Non ho mai voluto tirarmi indietro, anche davanti ai casi più duri, come gli infortuni sul lavoro, che non si dimenticano facilmente. È un mestiere straordinario, lo adoro profondamente. Tra un anno e mezzo andrò in pensione, non sono riuscita a fare il concorso, ma auguro a sempre più ragazze di avvicinarsi a questo mondo. Purtroppo - spiega - causa Covid nel 2020 ho potuto fare solo un richiamo e scendere in campo mi manca. Cosa mi piace di più? Rendermi utile per gli altri, sentire che posso essere di conforto per le persone più fragili, indossare con orgoglio la divisa».
Sul rapporto con gli uomini la risposta è uguale per entrambe: «All’inizio c’è stata forse qualche perplessità - raccontano -. Era necessario del tempo affinché tutti si abituassero all’idea. Non ci sono mai stati problemi, solo qualche titubanza iniziale, ma è stata davvero una questione di tempo. Ora lavoriamo benissimo, ci sentiamo apprezzate, sostenute, anche coccolate: c’è massima collaborazione e in caserma si sta bene. Anche grazie a persone speciali come il nostro comandante Mauro Luongo, che ci sa valorizzare e ci sprona, ci sentiamo un’unica, grande, squadra». E in caso di interventi che necessitano di forza fisica, come si fa? «Se uno non è in grado o non riesce a fare qualcosa, donna o uomo che sia, lo dice e fa un passo indietro. Il valore della squadra è questo». —
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