Panetteria addio: la pagnotta si compra bevendo il caffè

Cosa c’è di più quotidiano se non il pane? Pane che vuol dire forno o panificio, oppure panetterie dove sfilatino, rosetta o pagnotta viene messa in vendita. Ma le rivendite sono sempre di meno e ormai per acquistare un panino bisogna andare... al bar. Stiamo assistendo, infatti, a una costante trasformazione delle panetterie. E accade anche l’inverso: che dire ad esempio del nuovo Cremcaffè di piazza Goldoni, trasformato in parte anche in profumato panificio?
Ecco che le vecchie e tradizionali panetterie - per citarne alcuni il Sanna bar di via Galatti, oppure Viezzoli di via Cassa di Risparmio o il panificio pasticceria Romi di via Torino - offrono anche consumazioni al banco. L’ultima in ordine di trasformazione è il panificio Sircelli di via Gallina, in fase di ampia ristrutturazione, deciso non solo ad allargarsi ma anche ad allargare la propria offerta. Ma non tutti hanno la possibilità di restare “al passo con i tempi”. C’è pure chi chiude i battenti per riaprire chissà quando. È il caso dello storico Panificio ’900 di via Stock, una vera istituzione per il rione di Roiano il pane della famiglia Giuliani. Da alcune settimane le saracinesche sono abbassate per un problema tecnico connesso al forno. All’esterno il saluto all’affezionata clientela.
La crisi dei forni si fa sentire e l’avvertimento è stato lanciato da tempo dai responsabili dei panificatori, consapevoli di questa emorragia dei clienti diretti verso acquisti che sempre più si rivolgono a canali non tradizionali. Gli esercenti segnano il passo, soffocati anche da realtà dove il prodotto viene elaborato e confezionato, ad esempio, nella vicina Slovenia e in massa riversato nei supermercati rionali. Secondo Edvino Jerian, esercente e presidente dei panificatori giuliani, «c’è una certa emorragia che porta i fornai verso altri tipi di offerte, ma questa è una pura scelta imprenditoriale individuale».
E poi fino alcuni decenni fa il quantitativo assunto pro-capite di pane superava il quarto di chilo a testa, mentre oggi, a malapena si sfiorano i 100 grammi. «I consumi di una volta permettevano al titolare e ai dipendenti un impiego remunerativo. Oggi - continua Jerian - segna un po’ il passo. Ci sono tutta una serie di prodotti sostitutivi che vanno dai crackers ai grissini, dalle fette biscottate al pre-confezionato ai crostini e via elencando. Incidono poi i differenti stili di vita delle persone, estremamente mutevoli che portano a consumare diversi pasti fuori casa, cosicché, dobbiamo registrare una sensibile diminuzione. Pertanto poter affiancare al forno una macchina per espresso, può essere una strada interessante anche se personalmente resto ancorata alla tradizione di fornaio-artigiano».
E dall’altra parte della barricata un altro presidente, Beniamino Nobile della Federazione pubblici esercizi, non nasconde una punta di perplessità su tale evoluzione: «Nella provincia triestina i pubblici esercizi ammontano grossomodo a 1200 (circa uno ogni 180 abitanti, ndr). C’è un equilibrio di per sé già fragile che così facendo viene ulteriormente alterato. Tutto porta via lavoro più si frammenta il settore». Naturalmente le licenze sono libere e pertanto, dice Nobile, «se uno ha voglia è libero di farlo». Ma se una volta si parlava di specializzazione, ora al presidente della Fipe pare che «stiamo andando verso una de-specializzazione, dove tutti vogliono fare tutto: è fondamentale inventarsi qualcosa di nuovo per far entrare il cliente nel proprio punto vendita». E persino allargando la propria attività agli spazi esterni.
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