Orson Welles a Pordenone la scoperta che è già un film
TRIESTE. Un ritrovamento fortuito, dietro cui si nasconde un incredibile intreccio di coincidenze, un plot “cinematografico”, con al centro Pordenone. Non c’è dubbio che a Orson Welles, l’avventura di “Too Much Johnson”, il suo primo filmato con cast e troupe professionisti, sarebbe andata a genio. Una storia “wellesiana”, dove un susseguirsi di scambi, passaggi, trasferimenti, contatti, coincidenze, lunga poco meno di un decennio, ha portato al “miracoloso” - nel senso di scampato a morte certa - recupero della prima esperienza di Welles dietro la macchina da presa, di cui in queste ore, sulla scia del “New York Times”, parlano tutti i giornali del mondo.
Le vicissitudini del film, che ha per protagonisti Joseph Cotten, Arlene Francis e Virginia Nicholson, all’epoca moglie del regista, sono rivelate da Piero Colussi, tra i fondatori di Cinemazero, l’ente che è stato il primo destinatario del film di Welles, custode - e, almeno all’inizio, inconsapevole - di un tesoro.
Tutto comincia - racconta Colussi - alla casa di spedizioni Roiatti di Pordenone, dove erano da tempo depositate casse di materiale di uno spedizioniere romano, fallito, in attesa di una collocazione definitiva. Nel 2004 il proprietario della Roiatti, Luigi Prosdocimo, contatta Cinemazero per liberarsi del materiale. «”Ho delle pellicole antiche per voi”, ci ha detto», ricorda Colussi. «In qualsiasi altra città sarebbero probabilmente finite in una discarica, ma a Pordenone le Giornate del Muto e Cinemazero sono una sorta di “gloria nazionale” e così siamo stati chiamati in causa. Insomma, il terreno era favorevole perchè si evitasse la dispersione». Tanto più - ed è qui che la vicenda assume i contorni della sceneggiatura - che un vecchio collaboratore di Cinemazero, il regista Mario Catto, scomparso tragicamente l’inverno scorso a Milano, era anche amico di Prosdocimo e ha giocato a sua volta un ruolo indiretto di “ispiratore” nell’attenzione verso i “reperti”.
Ma procediamo col copione. Dopo essere state parcheggiate, e quasi dimenticate, per quattro anni nell’archivio del cineclub pordenonese, nel 2008 le pellicole cominciano a sviluppare una sindrome “acetica”, in pratica si “decompongono”, con un odore terribile. Ecco allora che i responsabili di Cinemazero analizzano con più attenzione il materiale.
Per inventariare i documenti, viene coinvolta “La camera ottica” del Dams di Gorizia, con il docente Leonardo Quaresima. Passano altri tre anni, finchè nell’autunno 2012, grazie all’expertise di Ciro Giorgini, uno degli inventori di “Fuori Orario” e grande conoscitore di Welles, si scopre che, tra altri film, c’è l’introvabile “Too Much Johnson”, girato dal maestro a 23 anni come filmato di raccordo per l’omonima commedia che stava per mettere in scena al Mercury Theatre di New York. Lo spettacolo, però, fu un bel fiasco e chiuse i battenti dopo un’anteprima disastrosa a Stony Creek, nel Connecticut. Lo stesso regista pensava che il film fosse andato perduto nell’incendio della sua casa di Madrid, nel 1970, e se ne dimenticò.
A salvare questo primo tassello di un’incredibile carriera (e quindi a completarla), interviene a questo punto la Cineteca del Friuli, dove tutto il deposito “pordenonese” viene trasferito perchè si trova in preoccupanti condizioni di deterioramento. «Grazie alle loro relazioni - spiega Colussi - viene coinvolto l’americana National Film Preservation Foundation, che finanzia il restauro e la digitalizzazione da parte della George Eastman House di Rochester, di cui è “senior consultant” Paolo Cherchi Usai, tra i fondatori delle Giornate del Muto. Il trasferimento in America - prosegue - è stata un’avventura: parliamo di nitrato, materiale infiammabilissimo, che ha richiesto severe misure di sicurezza».
“Too Much Johnson” verrà proiettato a Pordenone il 9 ottobre, con accompagnamento dal vivo. Cinemazero e Cineteca - dove ora è custodita la copia digitale - hanno nel frattempo ricostruito la sceneggiatura e la fotografia e ritrovato la partitura musicale, altra “chicca”, firmata da Paul Bowles, futuro autore de “Il tè nel deserto”. E pensano che quella pordenonese sia l’unica copia esistente del film.
Dice ancora Colussi: «Poteva andare a Cannes, a Venezia, ma è girato come un “muto”, dunque debutterà alle Giornate. La storia di questo ritrovamento è quella di un grande gioco di squadra. È importante, dunque, che le istituzioni regionali si rendano conto di che frutti importanti danno gli investimenti sul cinema fatti nel nostro territorio. E che non si pensi a tagliarli».
@boria_A
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