«Ok al balcone nella Chiesa» Il parroco batte Picchione
L’ordine di demolire un balcone di legno firmato il 13 maggio scorso da Maria Giulia Picchione, che aveva bollato quel balcone come abusivo, pericoloso e presumibilmente pure brutto, diventa carta straccia per sentenza del giudice amministrativo, che bolla a sua volta quell’ordine come non giustificato e, dunque, illegittimo. Amen. Qui il tocco di sacralità è più che giustificato: il balcone di cui allora la soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici disponeva la cancellazione sta dentro la Chiesa della Beata Vergine del Rosario. La Soprintendenza esce dallo “sconfessionale” del Tar, dunque, con animo da penitenza. Dal confessionale della Chiesa di Cittavecchia, invece, il parroco don Stefano Canonico - che con l’avvocato Andrea Melon aveva reclamato l’annullamento della carta a firma Picchione - può uscire con tutt’altro spirito: la nuova balconata, che nel corso dei lavori di ristrutturazione di due anni fa aveva preso il posto della vecchia “cantoria”, resta intanto lì per via giudiziaria.
È il presidente del collegio dei magistrati amministrativi regionali, Umberto Zuballi, ad aver firmato una sentenza, depositata mercoledì a sole 24 ore di distanza dall’ultima udienza, che ribadisce motivandola una precedente ordinanza di fine estate in cui si era limitato a congelare la demolizione fino all’udienza di merito, che si è tenuta appunto martedì scorso. «La Soprintendenza sembra ignorare l’ordinanza del 2014 che ha accolto l’istanza cautelare sospendendo gli effetti del provvedimento impugnato», si legge proprio nella sentenza dell’altro giorno, nella parte che si riferisce alla corrispondenza tra dicembre e gennaio tra la Soprintendenza medesima e il Comune, proprietario della Chiesa, contenuta in una memoria depositata dall’Avvocatura dello Stato per conto dell’ufficio di Picchione alla vigilia dell’ultima udienza.
«La stessa Avvocatura dello Stato - insiste la sentenza - ammette che la Chiesa non è stata sottoposta a verifica d’interesse culturale... senonché il provvedimento in questa sede impugnato ordina la rimozione della balconata in quanto, gravando staticamente sulla cantoria e sulla muratura perimetrale, comprometterebbe sotto il profilo strutturale e architettonico-formale il monumento». Non una questione estetica di Belle arti, stringi stringi, bensì di ingegneria e sicurezza. Ma - scrive il giudice - «gli aspetti strutturali non spettano alla verifica della Soprintendenza» e quindi «per l’aspetto architettonico e formale la carenza di motivazione appare evidente». «È ben vero - recita la sentenza citando il Codice Urbani - che in tale materia la Soprintendenza gode di ampia discrezionalità, ma proprio per tale motivo la fase istruttoria e motivazionale deve risultare chiaramente all’atto impugnato, mentre nel caso in esame una compiuta motivazione si rinviene unicamente nella memoria dell’Avvocatura dello Stato, con un’inammissibile integrazione postuma». E «quanto alle ragioni del mancato riscontro alla domanda di accesso agli atti» avanzata da don Canonico in base alla legge sulla Trasparenza, «la spiegazione fornita nella memoria dell’Avvocatura depositata il 21 agosto, che cioè vi sarebbe stata confusione nel passaggio di consegne tra vari funzionari della Soprintendenza, non appare convincente». Amen. Più una condanna a tremila euro di spese di giudizio a carico del Ministero.
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