Nel 12% dei lavoratori alla Sbe riscontrate tracce del morbo. Ma irrompono i Nas: test sequestrati

MONFALCONE L’11-12% di dipendenti con la presenza nel sangue di anticorpi positivi al corona virus, 6 % con un’infezione in corso e il 5% con infezione pregressa. Questo il quadro che è emerso alla Sbe di Monfalcone, guidata da Alessandro Vescovini, dopo le analisi, iniziate nei giorni scorsi, tra i 450 dipendenti. Finora sono stati verificati circa la metà degli occupati, 180-200 persone che l’azienda, la prima ad essersi mossa in Fvg, ha voluto far visitare per garantire una ripresa delle attività in massima sicurezza per i lavoratori.
Si tratta di analisi del sangue fatte in maniera approfondita da un laboratorio autorizzato che ha sede a Gorizia e a Udine (si tratta della Salus) con un prelievo tradizionale (non la mera puntura del dito) e una serie di altre verifiche collegate (screening ematico completo oltre che una visita e altri test) che hanno fatto emergere la situazione dei possibili contagi di una popolazione di operai metalmeccanici.
Proprio nella giornata di venerdì, però, c'è stato un colpo di scena, raccontato dallo stesso Vescovini su Facebook: i Nas di Udine, infatti, hanno fatto un blitz nel laboratorio, sequestrando i test "perché sprovvisti di una registrazione presso il ministero della sanità".
Un blitz che non è andato giù a Vescovini, che sui social attacca: "Si tratta degli stessi strumenti utilizzati per il monitoraggio del personale sanitario del Burlo. Ai miei dipendenti dovrò quindi spiegare che esistono persone di serie A per la quale è lecita una sperimentazione e persone di serie C, per le quali la sperimentazione non si può fare, non si deve fare, perchè serve un timbro (SIC). Non perchè, bada bene, il test non sia ritenuto efficace, ma perchè sprovvisto di registrazione e perchè a quanto pare la Regione non ha ancora espresso un suo parere riguardo ai test sierologici".
"I miei dipendenti - continua ancora Vescovini su Facebook -, secondo qualcuno, debbono chinare la testa ed andare a lavorare sapendo che un loro collega su dieci può avere una infezione in atto, come è emerso dai primi test. Collega che con i test se ne starebbe a casa senza rischiare di infettare gli altri, in attesa del tampone. Ovviamente Io non ci sto. Per prima cosa perchè io da datore di lavoro ho il preciso dovere di garantire la loro sicurezza. Ma sopratutto perchè non accetto di vivere e lavorare in una regione dove a differenza del vicino Veneto si realizzano 500 tamponi al giorno, contro i loro 10.000 e dove la principale preoccupazione di alcune autorità, non sia quella di prevenire e salvare vite umane migliorando il monitoraggio della popolazione, ma di sequestrare, bloccare, silenziare chi osa provare ad uscire dal tremendo buco dove ci siamo infilati".
Infine la stoccata finale: "Ringrazio i Nas di Udine per la loro solerzia, ma ho gia ordinato 200 kit portatili ed terminerò entro 7 giorni i test in modo totalmente autonomo, quindi senza aver bisogno di nessun laboratorio che loro possano sequestrare, allo scopo di continuare a monitorare i miei dipendenti e garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono gli stessi kit sierologici che le autorità sanitarie Venete utilizzano per esempio a Portogruaro, a due passi da nostri confini per testare gratuitamente i dipendenti pubblici. Per evitare di pesare troppo sulle strutture regionali, nell'attesa che qualcuno da Trieste decida di ampliare la nostra capacità di fare tamponi, ho poi deciso che per i soggetti positivi invieremo privatamente i tamponi in Germania, dove eseguono, ricordo, 500.000 tamponi alla settimana, in strutture pubbliche e private. Fosse l'ultima cosa che faccio, io testerò i miei dipendenti, periodicamente con test sierologici e tamponi, come per esempio ha deciso di fare anche Arvedi a Trieste. Martedi mattina poi chiederò un appuntamento urgente con il Procuratore Capo del tribunale di Gorizia, per denunciare l'accaduto e per manifestare la mia difficoltà oggettiva a garantire le condizioni di sicurezza dei miei dipendenti".
Tornando ai risultati finora emersi, i lavoratori positivi al test sono stati messi prudenzialmente a casa dalla Sbe e inviati ieri stesso alle strutture sanitarie per eseguire il tampone che dovrebbe dare il responso definitivo sulla presenza o meno dell’infezione. Ma quello che ha lasciato interdetti è che praticamente la totalità dei lavoratori positivi, a quanto è stato riferito, non presenta sintomi evidenti della malattia. A conferma che, con la presenza dei cosiddetti “asintomatici” il rischio di contagio, è altissimo e siamo di fronte a un virus subdolo e pericoloso.
«La Sbe ha deciso di fare questo tipo di analisi che è un pre-screening - spiegava Vescovini prima del blitz- l’obiettivo è facilitare le indagini dell’Azienda sanitaria che, nel caso dell’evidenza di casi positivi, potrà eseguire il test con i tamponi per il verdetto definitivo sulla presenza di contagi. Noi siamo stati i primi a fare questa analisi, so che si stanno muovendo anche altre aziende sia in regione che nel resto d’Italia».
E la logica che sottende questa iniziativa è chiara: attualmente il Fvg può assicurare circa 500 tamponi al giorno con le rispettive analisi, contro una potenza di fuoco del Veneto che ne ha annunciati 20 mila. E un pre-screening può ridurre gli sforzi dell’Azienda sanitaria con analisi più mirate.
«In questo momento è come se fossimo ciechi di fronte al virus - conclude l’imprenditore - con queste analisi che possono pagare le imprese possiamo aiutare la sanità locale che non ha la capacità di aumentare i test, individuando i soggetti positivi. Dobbiamo farlo perché non c’è nessun altro piano B per uscire da questa grave emergenza sanitaria ed economica che sta mettendo in ginocchio l’economia».
Il 60-70% delle aziende sono ferme per decreto e premono per riaprire, mettendo in sicurezza i lavoratori, per tornare sul mercato e non rischiare di chiudere del tutto. —
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