“Muf”, “glava” e altre parole a rischio: scatta il piano di salvataggio per il triestino
TRIESTE Forse non tutti sanno che il termine nagana, tra i più triestini dei triestini, ha origini africane: venne portato in città e qui sbarcò, trovando terreno fertile e fortunata applicazione, grazie alle navi del Lloyd. Chicca per estimatori del genere, o forse no, visto che secondo molti il dialetto nostrano dovrebbe essere patrimonio collettivo da difendere con le unghie e con i denti, strappandolo all’oblio e salvandolo dalle contaminazioni dell’italiano o, ancora peggio, dall’inesorabile globalizzazione del linguaggio via social. È proprio per questo che un gruppo di alfieri del triestino ha deciso di organizzare la più grande operazione di salvataggio del vernacolo locale mai realizzata prima: un progetto della durata di un anno, con iniziative di vario genere, dalle conferenze ai concorsi fotografici, dalle competizioni per le scuole ai video con canzoni, poesie e spettacoli da inviare in ogni continente grazie ai Giuliani nel mondo, fino a un vero e proprio programma di adozione delle parole maggiormente a rischio estinzione da parte di alcuni volti noti della triestinità, residenti e non.
È questo, in sintesi, il progetto dal titolo “Dante e compagnia cantante”, promosso dal Circolo della stampa in collaborazione con il Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, la Società di Minerva, l’associazione Giuliani nel mondo, il Circolo amici del dialetto triestino, il Circolo fotografico triestino, l’associazione giovanile Zeno e molte altre realtà cittadine. Come detto, la missione è chiara: conservare e riscoprire il dialetto triestino in ogni sua sfumatura, portando alla luce anche gli aspetti più curiosi e meno noti.
Luciano Santin, referente dell’iniziativa per il Circolo della Stampa assieme al presidente Pierluigi Sabatti, spiega: «Nel triestino, che di fatto nasce nel Settecento, epoca delle grandi rotte commerciali, sono presenti diverse contaminazioni, dal tedesco al francese, dallo sloveno all’inglese, solo per citarne alcune. È una parlata straordinaria, amatissima anche fuori dai confini locali, che si ritrova persino negli scritti danteschi. La nostra volontà è quella di contribuire a preservarlo, perché rappresenta un elemento identificativo della nostra cultura, oltre che una rappresentazione plastica della città. Nell’anno dedicato al Sommo Poeta - aggiunge Santin - abbiamo deciso di realizzare questo progetto che trae spunto da autori come Adolfo Leghissa (1875-1957), scrittore e poeta dialettale, il cui poema in terza rima “La fadiga d’un mortal” è un preciso ricalco dantesco, o come Virgilio Giotti, nato Schoenbeck, massima espressione della poesia in dialetto, che in gioventù tradusse in triestino il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” da “La vita nova”. Siamo partiti da qui, per definire un programma molto ampio che inizierà, pandemia permettendo, in maggio e proseguirà per circa un anno».
I finanziatori? «Per ora abbiamo messo in campo solo fondi nostri - puntualizza Santin - ma abbiamo chiesto, e speriamo di ottenere, un contributo da parte della Regione. Anche il Comune e la Camera di commercio sono coinvolti nell’iniziativa».
Si partirà con una serie di conferenze nello spazio esterno dell’Antico Caffè San Marco, che si svolgeranno ogni giovedì tra maggio e giugno, con ospiti professori, linguisti, ricercatori, registi, da Elvio Guagnini a Nereo Zeper, da Antonio Trampus a Diego Manna, Furian e Maxino, per dirne alcuni.
La seconda parte consisterà nella realizzazione di unità didattiche video da inviare in giro per il mondo, alle comunità italiane residenti all’estero: musica, teatro, poesie e canzoni in dialetto triestino, con volti noti del panorama locale e non solo, da Ariella Reggio ai Sardoni barcolani vivi.
Si proseguirà (da settembre in poi) con un concorso di composizione per le scuole, per le quali verrà realizzata anche una piccola antologia, e un contest fotografico il cui scopo sarà raccontare per immagini alcune tipiche espressioni della parlata locale, come amor no xe brodo de fasoi, per dirne una già pensata dal sodalizio. Infine, il progetto di adozione delle parole a rischio estinzione da parte di testimonial noti, ancora residenti in città o meno, che hanno primeggiato o ancora primeggiano nella musica, nella letteratura, nello sport, e che dovranno scegliere tre vocaboli a testa, associandoli a ricordi ed esperienze personali speciali.
Alcuni esempi di parole a rischio oblio? Da amolo ad angusigolo, da articioco a bartuela, da baziloto a bobo; ma anche brenta, britola, caziul, fortic, fota, falisca, glava, licof, juzza, imborezà, intimela, muf, s’cenza, tamiso, tutintun, zonfo e tantissimi altri.
«Nelle parole del nostro dialetto è racchiusa la storia della nostra città, del commercio per mare e dell’evoluzione del Porto, della presenza austriaca, della sua anima multietnica e multilinguistica - spiega ancora Luciano Santin -. Bisogna far passare il concetto, soprattutto con i giovani, che esprimersi in triestino non è sinonimo di volgarità. Ci sono intellettuali e professori triestini che abitualmente usano il dialetto, e non per questo ignorano l’italiano. Il triestino un tempo era riconosciuto e trattato in modo diverso, penso ad esempio a quando lo si usava abitualmente nei cda delle Generali o al Lloyd triestino».
La crociata in difesa del vernacolo nostrano, dunque, avrà presto inizio. Ulteriori dettagli nella conferenza di presentazione del progetto, prevista a fine aprile.—
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