«Morti e dispersi, oltre 6mila corregionali»
TRIESTE. «Durante la ritirata sul fronte russo morirono in combattimento circa 20mila militari italiani e altri 70mila perirono in prigionia e durante le marce del Davai, nel disperato tentativo di raggiungere i campi di concentramento e sottrarsi in qualche modo alla morsa del freddo. Indietro tornò poco più di metà del corpo di spedizione, che contava oltre 200mila effettivi».
Guido Aviani Fulvio, direttore del Museo della Campagna di Russia ospitato presso il Sacrario di Cargnacco, ricostruisce le cifre della drammatica spedizione nelle steppe dell'Unione sovietica, guardando anche alle perdite patite dalle terre friulane e giuliane: «Fra i caduti e i dispersi italiani si contano oltre 5mila friulani e 1.300 uomini provenienti da Trieste, Gorizia, Istria e Dalmazia: i giuliano-dalmati furono molti di meno perché generalmente erano mandati su altri fronti o venivano arruolati in Marina. Le salme di novemila fanti italiani di varia provenienza sono state rimpatriate dopo il ritrovamento in cimiteri di guerra e fosse comuni: oggi riposano al Sacrario di Cagnacco in provincia di Udine».
Lo storico è colpito dalla notizia del ritrovamento della nuova fossa di Kirov ma invita alla prudenza: «I 15-20mila corpi stimati dai ricercatori russi mi sembrano una cifra molto alta e dunque da prendere con le pinze: i lavori di scavo potranno dirci di più sulla quantità delle persone seppellite. Non si può escludere che ci siano soldati originari del Friuli Venezia Giulia: metà dei 10mila componenti della Divisione Alpina Julia era formata da friulani e friulani, triestini, istriani e dalmati combattevano in tutte le divisioni presenti in Russia. Prima di poterci esprimere dobbiamo tuttavia trovare qualche piastrina che ci dica di più».
Aviani Fulvio fa quindi appello alle autorità italiane: «Da cittadino mi aspetto che la nostra ambasciata a Mosca, ammesso che si dimostri che nella fossa di Kirov riposano soldati italiani, metta un cippo a ricordo dei nostri militi: di più sarà difficile fare perché pochissimi potranno essere riconosciuti attraverso la piastrina che riportava i dati del soldato: se succederà, bisognerà lavorare per il rimpatrio delle salme».
Gli italiani combattevano contro i sovietici accanto a tedeschi, romeni, ungheresi, finlandesi e slovacchi, ma non mancavano contingenti di volontari provenienti da tutta Europa: «I morti di Kirov fanno parte del mezzo milione di soldati imprigionati dopo il ribaltamento del fronte di Stalingrado, quando l'offensiva russa distrusse un'intera armata tedesca. I prigionieri furono smistati in centinaia di località in tutta l'Urss: quelli di Kirov sono appunto parte del numero sconfinato di campi di concentramento e di lavoro, dove finirono prigionieri di guerra ma anche i russi ostili al regime. Questi uomini vissero in condizioni terribili: freddo atroce, assistenza materiale impossibile, alimentazione scarsa, trasferimenti a piedi, lavori forzati massacranti. La malnutrizione e il tifo - aggiunge Aviani Fulvio - falcidiarono l'80% dei prigionieri di guerra in quattro mesi e poco più del 10% degli italiani riuscì a tornare vivo. La maggior parte rientrò alla fine del 1945 ma alcuni dovettero attendere un tempo infinito: gli ultimi 28 ufficiali vennero restituiti soltanto fra il 1947 e il 1954». (d.d.a.)
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