Marta, una triestina su Sea Watch: «Salviamo persone non numeri»
TRIESTE Marta Pacor ha 26 anni e una laurea in Scienze internazionali e diplomatiche conseguita a Gorizia. Cresciuta tra Roma e Trieste, da un paio di anni è tornata a vivere nella capitale. Ma da una settimana è una dei 24 membri dell’equipaggio della Sea Watch, la nave che solo mercoledì ha potuto sbarcare a Malta i 49 extracomunitari soccorsi in mezzo al Mediterraneo il 22 dicembre. Marta era salita a bordo venerdì 4 gennaio, nei momenti più caldi della crisi, e ci rimarrà, per il suo turno da volontaria, fino al termine di gennaio.
«Quei giorni in attesa del permesso di sbarcare sono stati davvero molto intensi e faticosi» racconta al telefono dal cuore del Mediterraneo Marta, che proviene dall’esperienza di Mediterranea, organizzazione umanitaria che collabora - insieme anche ad Open Arms - con Sea Watch.
«Le persone soccorse avvertivano pesantemente questa situazione di incertezza che pendeva sulle loro teste e del resto noi li tenevamo informati su tutto quello che accadeva. Da qua, dalla nave - spiega Marta - appariva completamente incomprensibile l’approccio a questo tema da parte dell’Europa e dei vari Stati membri: persone tenute bloccate su una nave mentre tra i governi si discuteva di numeri. Ripeto: persone. Avevamo a bordo persone, non pacchi postali. E, va aggiunto - racconta ancora la giovane triestina imbarcata su Sea Watch -, quanti avevamo accolto a bordo hanno dimostrato fino all’ultimo una grandissima consapevolezza. In quei giorni di attesa davanti a Malta sono venute sulla nave almeno due o tre delegazioni di giornalisti. E le persone soccorse si domandavano: “Perché dobbiamo parlare di noi, perché dobbiamo accendere i fari dell’attenzione su di noi e non si parla invece del perché non veniamo accolti, del perché l’Europa non ci vuole?” E ripetevano: “Non siamo criminali, non lasciamo certo volentieri le nostre case e i nostri paesi”».
Ora la Sea Watch, con il suo equipaggio internazionale («a bordo siamo italiani, olandesi, svizzeri, tedeschi, portoghesi, inglesi... ») è tornata a pattugliare le zone Sar, ovvero le zone Search and Rescue, che sono fissate da precisi accordi internazionali. E il tempo a bordo scorre con le esercitazioni che, per l’emergenza vissuta, non era stato possibile svolgere in precedenza. Intanto, a terra, un altro triestino, Alessandro Metz - che della nave di Mediterranea, la Mare Jonio, è ufficialmente l’armatore - sottolinea: «Negli stessi giorni in cui il vicesindaco di Trieste Paolo Polidori gettava nelle immondizie le coperte di un clochard, Marta, un’altra triestina, in mezzo al Mediterraneo si preoccupava di persone in difficoltà per salvare, con loro, quel poco di umanità che ancora ci contraddistingue. Marta rappresenta in questo momento anche la possibilità di salvare Trieste». —
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