Malato di tumore dopo la missione in Iraq. Niente indennizzo, ma il Tar gli dà ragione

Militare goriziano vince il ricorso contro il ministero della Difesa obbligato a rideterminare la domanda e a pagare le spese legali

GORIZIA Aveva preso parte con la divisa dell’esercito a una missione in Iraq, giovanissimo. Al ritorno il suo mondo e la sua vita si erano capovolti, stravolti da una grave e rara forma di tumore contratta proprio durante quei mesi di servizio, con tutta probabilità a causa dell’uranio impoverito. Riformato, era stato poi assegnato al personale civile, e aveva chiesto un equo indennizzo dettato dal riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della sua malattia, che gli è stato però negato. Ha fatto ricorso e ora il Tar del Friuli Venezia Giulia lo ha accolto, chiedendo al ministero della Difesa (tenuto anche a rifondere al ricorrente le spese di lite) che la sua storia e la sua pratica vengano rivalutate nuovamente dagli organismi competenti.

È una vicenda delicata, sofferta e carica di risvolti umani, quella che emerge dalla sentenza emessa dal Tar di Trieste attraverso i magistrati Oria Settesoldi (presidente), Manuela Sinigoi (consigliere) e Nicola Bardino (referendario ed estensore). Protagonista, suo malgrado, un quarantenne goriziano, già caporale maggiore scelto dell’esercito che oggi è in congedo per riforma ed è attualmente impegnato tra il personale civile del ministero della Difesa. L’uomo, seppur estremamente giovane, nella prima metà degli anni Duemila aveva già preso parte a diverse missioni all’estero con l’esercito italiano, durante le quali, come lui stesso ha sottolineato più volte nella documentazione presentata per il ricorso al Tar, era stato adibito a svolgere logoranti servizi, molto spesso in aree e siti inquinati da diversi agenti patogeni, tra i quali l’uranio impoverito. Questo, come è noto, è materiale utilizzato in più occasioni negli armamenti (nella Guerra del Golfo ma anche nei Balcani) e al centro di pesanti controversie per gli effetti sulla salute di civili e militari, anche per la mancanza di studi puntuali e precisi in materia. Sta di fatto che, proprio durante una missione in Iraq, il caporale maggiore goriziano aveva manifestato i primi sintomi di una patologia inizialmente non riconosciuta correttamente e che, solo dopo il ritorno in Italia, aveva trovato diagnosi esatta.

Parliamo di una particolare forma tumorale della pelle determinata dall’esposizione all’uranio impoverito e alle nano particelle. «Una malattia però che non rientra tra quelle abitualmente associate all’uranio impoverito, come forme tumorali alla tiroide o ai testicoli solo per citare qualche esempio – spiega l’avvocato Luigi Elefante, che ha assistito il militare in congedo nel suo ricorso al Tar –. E questo ha probabilmente portato il comitato di verifica che ha valutato la richiesta di indennizzo del mio assistito a derubricare la malattia come non legata al servizio prestato dal militare. Proprio la mancanza di documentazioni cliniche approfondite che scontiamo ancora oggi sull’uranio impoverito rende particolarmente difficili queste situazioni». La commissione medica aveva dichiarato permanentemente inidoneo al servizio militare il giovane goriziano – che ancora oggi convive con la sua patologia e affronta una cura salvavita –, ricollocandolo tra il personale civile del ministero della Difesa, ma poi il comitato di verifica per le cause di servizio aveva stabilito che l’infermità non poteva “riconoscersi dipendente da fatti di servizio”, in quanto “non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro rese disagi e strapazzi di particolare intensità”.

Di qui il ricorso al diniego dell’indennizzo, basato soprattutto sulla considerazione di motivazioni “dal contenuto sostanzialmente stereotipato, del tutto avulso da qualsiasi valutazione dei servizi prestati e della loro possibile incidenza sulla patologia”. Ricorso che il Tar ha giudicato fondato in relazione proprio a questo motivo, obbligando il ministero della Difesa a “rideterminarsi in merito alla domanda di equo indennizzo formulata dal ricorrente”, considerando “ogni elemento utile a qualificare e caratterizzare i servizi prestati, e indagandone la possibile incidenza medica rispetto all’insorgenza della patologia accertata”.

«Dobbiamo ringraziare i giudici per la sensibilità dimostrata su questo tema delicato – spiega l’avvocato Elefante –. Si tratta di una sentenza significativa non solo perché soddisfa la richiesta di un uomo che ha rischiato la vita, costretto a cure per poter lavorare perché, senza indennizzi, non avrebbe di che sfamare la famiglia (l’ex miliare vive a Gorizia con una moglie e due figli), ma anche perché fornisce elementi di speranza e basi su cui continuare a battersi per i propri diritti per diversi altri militari che stanno vivendo la stessa situazione del mio assistito». —


 

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