GORIZIA Per la Rosa di Gorizia è un’altra, importante consacrazione. Starà ora ai produttori e ai ristoratori, alle istituzioni e alle associazioni che hanno lo scopo di valorizzarla, capitalizzare l’entusiasmo di uno chef pluristellato quale Bruno Barbieri. Gli elogi alla gastronomica prelibatezza questa volta vengono proprio da lui, assai gentile al telefono. Barbieri nei giorni scorsi aveva pubblicato un video sul suo profilo social, così commentandolo: «Ragazzi, oggi siamo ancora insieme in cucina e prepariamo un piatto unico, di quelli che possono essere un antipasto, un primo o un secondo. Facciamo una frittata, con salmone marinato, cipolla di Tropea e la mitica Rosa di Gorizia, un radicchio incredibile! Non mi resta che dirvi buon appetito!». Ne è seguita una caterva di visualizzazioni, mi piace e condivisioni.
A sentire il trasporto con cui Barbieri ne parla, si comprende che i suoi, nei confronti dell’eccellenza autoctona, non sono elogi di circostanza. «È un gioiello, un prodotto spaziale. Lo metterei alla pari del tartufo. Definirlo radicchio, però, è limitativo: è estremamente interessante per la sua croccantezza, per il suo colore e per l’eleganza della sua forma che è di una bellezza esagerata, al punto che la Rosa di Gorizia potrebbe venir messa all’occhiello di una giacca o considerarsi a tutti gli effetti un fiore. Quando la vedo dal mio fruttivendolo di fiducia (soprannominato “Cartier”) in via Garibaldi, a Reggio Emilia non posso non comprarla, già per come si presenta, in piccole, perfette scatole di legno: a regalarla si fa un figurone. E poi è altrettanto interessante la storia di questo prodotto, con i contadini di un tempo assai gelosi a rivelarne i segreti. Il suo gusto amaro, poi, non è quello tipico del radicchio: è più elegante, appetitoso. Sì, me ne sono innamorato da chef ma, prima ancora, da consumatore: ce ne sono altri di buoni, ma la Rosa è decisamente il mio radicchio preferito».
Quello di chef Barbieri per la Rosa nostra è, quindi, un amore di vecchia data. E allo stesso un assist e uno sprone alla città. «La conosco da una vita: con mia madre, quando la trovavamo la acquistavamo sempre. Sarebbe bello, però, poterla trovare più facilmente, svilupparne gli utilizzi il più possibile. Attenzione, quindi, a non dimenticarla. Spero che quanti lavorano per coltivare questa meraviglia continuino a farci avere questo prodotto speciale».
I produttori, insomma, sono avvertiti. «Purtroppo, in gennaio non abbiamo potuto dar vita alla “Rosa di Gorizia a tavola”, la tradizionale iniziativa che abbina piatti basati sulla nostra eccellenza a letture e ad esecuzioni musicali, ma nonostante i disagi legati al Covid, con l’assenza di turisti da fuori regione, non abbiamo mancato di porla al centro dei menù – afferma Michela Fabbro, presidente dell’associazione Gorizia a Tavola –. Tengo sempre a riconoscere l’impegno dei produttori come quello dell’associazione che li tutela. E pensare che tutto è cominciato una decina d’anni fa, con l’attribuzione del presidio Slow Food e il premio Nonino Risit d’aur. Di strada, insomma, ne è stata fatta molta anche se qualche maggiore sinergia tra ristoratori, produttori, istituzioni e distributori della Rosa avrebbe potuto fornire risultati ancora migliori: è proprio su questo punto che vogliamo impegnarci». Lo chiede lo chef Barbieri e non solo. —