L'INTERVISTA Cacciari: «Caso Ucraina, Bruxelles incauta Ma il Cremlino si fermerà»
TRIESTE. Il brontolio dei cingoli dei carri armati alla frontiera fra Russia e Ucraina non è solo un simbolo della fragilità estrema della pace mondiale. Espone anche i nervi scoperti dell’Unione europea impantanata in una lite fra Mosca e Washington che ha contribuito a scatenare. A vent’anni dalla pubblicazione del suo libro “Geofilosofia dell’Europa”, il filosofo e politico veneziano Massimo Cacciari riflette sulle prospettive del Vecchio continente.
Cacciari, l’Europa appare indecisa, divisa fra i legami economici con Mosca e quelli politici con gli Usa.
È indecisa per forza. L’Europa non può certo contraddire la posizione americana e al tempo stesso deve tener conto dei fondamentali interessi economici ed energetici che la uniscono alla Russia. Interessi anche personali che riguardano leader come Berlusconi, Prodi, Schröder. Prendiamone atto: in questo scenario l’Ue non può che barcamenarsi.
Si è spinto troppo per l’adesione di Kiev all’Ue?
Sì. Tutta la politica di allargamento è stata incauta e precipitosa. Un’operazione condotta in modo velleitario gettando il cuore oltre l’ostacolo. Ha finito per destare timori in Russia e porre problemi all’Europa stessa. Bisognava essere molto più realisti, laddove su altri fronti s’imponeva maggiore audacia, penso ad esempio all’unione politica.
La frittata è fatta. Come si sistema?
Si risolverà per conto suo, verrà accettato lo statu quo: la Russia si terrà la Crimea e l’Ucraina resterà nell’ambito europeo. Certo, Mosca suscita qualche timore: la sua è una politica imperiale e chi si illudeva al riguardo è un’anima bella. Credo però che i russi si fermeranno lì, i timori per il resto dell’Ucraina e gli stati baltici sono infondati. Resta il fatto che la Russia non può cessare di essere sé stessa: una volta puntava a Costantinopoli, oggi si accontenta della Crimea. La Russia è un impero, mica uno staterello europeo. Non è mica l’Italietta.
Cosa pensa di Vladimir Putin?
Putin è un russo, nato in Unione sovietica e cresciuto all’interno di quella prospettiva, di quella strategia. La sua funzione rispecchia quella della Russia, ed è naturale che una simile potenza possa apparire prepotente. Dopodiché il suo blocco di potere è profondamente diverso rispetto a quello del Partito comunista sovietico: è un sistema dominato da interessi di tipo economico, finanziario, probabilmente gangsteristico. Ma tutto ciò è accessorio rispetto al fatto che, nuovamente, la Russia è un impero. E gli imperi hanno dei destini. Uno dei destini di Mosca è di avere uno sbocco al mare, e quindi di non poter rinunciare alla Crimea.
In Ucraina si scontrano la visione russa e quella americana della politica estera. L’una basata sulle sfere d’influenza, l’altra su ideali universali.
Gli Usa oggi sono in ritirata. Stati Uniti e Russia uscirono dalla Seconda guerra mondiale come potenze che aspiravano a svolgere un ruolo imperiale globale. Il sogno dei primi si infranse in Vietnam e dei secondi ai tempi di Gorbaciov. Dopo il crollo dell’Urss Washington ha rispolverato il sogno della preminenza globale: l’hanno perseguito Bush senior, in modo diverso Clinton, in modo delirante Bush junior. Ora, con Obama, hanno compreso che si tratta di una prospettiva irrealistica, e stanno gestendo una ritirata da tutti gli scenari. Restano però una potenza di primo piano che come la Russia deve gestire le proprie aree di influenza.
Il mondo del futuro come sarà?
Sarà un mondo globalizzato ma anche policentrico, poliarchico, con tutti i problemi che ciò comporta. Le guerre saranno guerre locali, a meno che non entrino in scena altri soggetti che puntino a una politica imperiale globale. Ma per il momento il problema non si pone.
Qualche giorno fa il senatore Mario Tronti ha citato il suo libro “Geofilosofia dell’Europa” invitando Renzi a impegnarsi per l’unione politica dei paesi europei. L’Italia può avere un ruolo simile?
Quel libro nasceva in un’epoca di maggiori speranze, auspicavo che una prospettiva politica, culturale e anche ideale potesse accompagnare la nascita dell’euro e fare da collante per una classe politica europea. Oggi è molto più difficile. Ma se l’Europa vuole fare altro che gestire il proprio tramonto il fine deve essere quello.
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