Le strade più belle d'Europa

Così Stendhal definì i lastricati del centro città. Che oggi almeno in parte sopravvivono e si possono riscoprire dalle Rive alla Città Vecchia salendo sul Colle di San Giusto

TRIESTE Le pavimentazioni più belle d’Europa. Così Stendhal definì le strade di Trieste che, insieme a quelle di Milano, suscitarono l’entusiasmo dello scrittore francese. Un punto di vista oggi forse desueto ma che rivela all’osservatore curioso nuovi percorsi di scoperta e fascinazione. Questa volta con il naso all’ingiù. Prestare attenzione ai tracciati stradali, la loro gerarchia, i materiali, la tessitura, l’evoluzione nel tempo, induce a guardare la città con una consapevolezza diversa. 

“Strade larghe e dritte, in gran parte con incroci ad angolo retto, lastricate con larghe pietre, alcune della quali superano il metro”, racconta nel 1826 lo scrittore e viaggiatore rumeno Dinucu Golescu di Trieste: “Non non sono così ornate soltando cinque o dieci strade, ma tutte nell’intera città. Gli stranieri passano buona parte del tempo su questi crocicchi perché di lì possono scorgere la bellezza delle vie in quattro direzioni, le facciate delle case, le numerose navi ormeggiate alla riva, i colli con giardini e vigneti”. 
 
Dalle Rive alla Città Vecchia, salendo sul Colle di San Giusto, si colgono le diverse sopravvivenze. Un racconto consegnatoci da Andrea Benedetti e Giancarlo Vieceli in un approfondito, rigoroso e appassionato saggio intitolato “Le pavimentazioni storiche di Trieste” (Il Poligrafo, 2017).
 
Cosa più della strada è soggetta del logorio, delle diverse esigenze di spostamento di individui e di veicoli, delle trasformazioni socio-economiche? Trieste nel XVIII secolo esplose letteralmente, abbattendo le mura che chiudevano la città e ridisegnando la pianta urbana inseguendo per la parte nuova, il Borgo Teresiano, il modello delle città anseatiche votato al commercio, avvalendosi di appositi organi di controllo creati dal governo asburgico. 
 
Dagli inizi dell’Ottocento l’amministrazione lavora alla lastricatura della Città Nuova e i tecnici si preoccupano di stabilire attentamente le modalità d’esecuzione dei lavori. Tra le previsioni del capitolato si legge, ad esempio, che “la pietra da impiegarsi nei’nuovi saliggi’debba rimanere esposta almeno un paio d’anni all’influenza dell’atmosfera prima di essere lavorata e posta in opera e quindi si stabilisce di fare un appalto generale per tutte le pavimentazioni della città condizionato all’obbligo di lasciar’attempate’le pietre”. 
 
Inoltre, si stabilisce “di appaltare la costruzione del saliggio con l’obbligo della manutenzione per nove anni successivi, ovvero per i primi tre anni senza alcun compenso e per i sei anni successivi sarà concordato il compenso al momento dell’appalto”. Non così lo stato di conservazione dei lastrici nella Città Vecchia, così descritto nel 1824: “La contrada della Madonna del Mare è munita del vecchio lastrico che si ritrova in perfetto disordine come tutti li altri vecchi selciati della città”. 
 
 
Per provvedere alle ingenti spese e rimpinguare le casse il Comune dovette istituire un contestato dazio del lastrico. Due le fasi principali nella lastricatura: la prima tra il terzo e il quarto decennio dell’Ottocento per le aree centrali della città, i borghi ottocenteschi Teresiano e Giuseppino e parte del Colle di San Giusto, dove insistono la maggior parte dei luoghi pubblici e delle attività cittadine. La seconda, dagli anni’40 in poi, per il borgo Franceschino e l’area limitrofa, parte della città antica e le aree soggette a interramento. 
 
Quali gli aspetti da tenere in conto? Certamente lo smaltimento e la raccolta delle acque piovane; le tessiture, ovvero il disegno derivante dalla posa dei blocchi; infine, i modelli ricorrenti con cui potevano presentarsi le strade in piano o in salita, le piazze o gli incroci stradali. E dunque a spina di pesce, a corsi paralleli o inclinati e perpendicolari, cogolato. 
 
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento gli interventi di lastricatura dovettero considerare i tracciati delle linee tranviarie. In Corso Italia i blocchi posti tra i binari presentano una scanalatura perpendicolare al senso di marcia, presumibilmente per facilitare il tiro dei cavalli. 
 
La disposizione dei lastricati riprende i modelli perfezionati nei primi decenni dell’Ottocento, in particolare lo schema a spina di pesce per le corsie carrabili e i corsi paralleli inclinati per gli slarghi, mentre cambia la sezione stradale che diviene a schiena d’asino con caditoie per drenare l’acqua poste sotto ai marcapiedi. 
Per la Città Alta, vi sono pochi elaborati di progetto per l’area edificata attorno al colle di San Giusto ad eccezione del percorso che, dalla loggia di piazza dell’Unità d’Italia, porta alla cattedrale di San Giusto. Fuori città, dopo la Prima Guerra Mondiale, fu adottata la pavimentazione al macadam, in pietrisco. 
 
A rendere più compatto il fondo di macadam venne successivamente impiegato catrame distillato a caldo (il tarmacadam). In città furono trattate con questo sistema negli Anni Trenta alcune arterie principali e talune di grande traffico (come il Corso, via Mazzini, via Roma, Via Carducci, piazza della Borsa). 
 
Fu in questi anni che si cominciò a coprire il vecchio selciato in arenaria con tappeti bitumosi, “con poca spesa un buon risultato”. 
 
 
Con gli inizi del Novecento l’espansione della città portò a grandi sperimentazioni con l’obiettivo di bilanciare costo, durata ed efficienza tecnica. In via Muratti si provò una pavimentazione con mattonelle d’asfalto su sottofondo di beton: un successo, ma abbandonato per il costo eccessivo. Nella stessa via venne sperimentato il Quebracho, legno particolarmente duro dell’America meridionale che si commerciava in mattonelle esagonali. 
Nel primo dopoguerra si evidenziò il problema del dissesto dei lastricati in prossimità dei binari delle tranvie, sostituendo il lastricato in arenaria con i cubetti di porfido – più economico e resistente – lungo i binari oramai logori. 
 
L’erta ripida di Scala Santa, una delle mulattiere più antiche che collegavano l’Obelisco a Roiano, che in certi punti aveva una pendenza del 16%, fu ricoperta per circa un chilometro e mezzo di cubetti d’arenaria; il resto della strada venne sistemato a marciapiede bitumato, con cordonata d’arenaria. 
 
Una passeggiata in città si arricchisce dall’osservazione di questi elementi. Ecco allora, in conclusione, il commento di Golescu: “Non c’è nulla di più bello che passeggiare per queste vie, nelle quali v’è una folla indaffarata, c’è abbondanza di ortaggi, verdure di ogni specie, angurie, ciliege, limoni, noci, e anche di pesci si ha l’imbarazzo della scelta. L’ora più bella è la sera però, quando in tutte le strade si accendono i grandi fanali e l’intero mare si illumina di fiamme”. –
 
(5 - continua)

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