Le odalische di Matisse

Fino al 15 giugno a Ferrara una grande mostra che offre un viaggio nel laboratorio creativo del grande artista
Di Fabio Cescutti

di Fabio Cescutti

Henri Matisse è già un signore della pittura fra “Lusso, calma e voluttà” che dipinge nel 1904 e lo slancio fauve dell'anno successivo, quando la retrospettiva parigina su Paul Cézanne del 1907 sconvolge la nuova generazione di artisti e scopre il destino del Novecento. Georges Braque e Pablo Picasso accelerano negli studi cubisti, Amedeo Modigliani riflette sulla sua idea di forma e perfino il poeta Rainer Maria Rilke nelle lettere alla moglie Clara Westhoff si dichiara “diverso” dopo quella visita, superando d'emblée il profondo rapporto con la scultura di Auguste Rodin alla quale aveva consacrato lo scritto precedente. Matisse invece non si scompone più di tanto.

Un piccolo Cézanne - “Le tre bagnanti” - lo aveva comperato nel 1899 dal mercante Ambroise Vollard ed era diventato il suo talismano, punto fermo sul quale lavorare. Come “Jeune homme à la fleur” di Paul Gauguin acquistato nello stesso anno. Matisse insomma compie una sintesi prima dei colleghi più giovani. Ma al contrario di Jean Auguste Dominique Ingres che si era riconosciuto in Raffaello, lui si riconosce soprattutto in due innovatori della generazione precedente producendo una vera e propria deflagrazione, senza destrutturare la figura come fa Picasso. E mentre nel ritorno all'ordine lo spagnolo approderà a un neoclassicismo seppure sui generis, il maestro francese al contrario danzerà con le sue odalische in un mondo a parte che non conosce corsi e ricorsi bensì solamente un proprio stile.

Nel 1907 Matisse si sente dunque al di sopra, va avanti per la propria strada perché metabolizza il maestro di Aix en Provence molto prima e lo coniuga con il divisionismo. A 38 anni ha già cambiato l'arte. Sceglie così di viaggiare fra Europa e Marocco. Questo essere anagraficamente più vecchio degli altri e allo stesso tempo intellettualmente fresco lo rende maestro senza essere stato un bambino prodigio come Picasso. Figlio di un commerciante di sementi, non era nato per essere un pittore bensì per subentrare nella gestione del negozio paterno. Sarà invece un artista per tutta la vita nonostante gli studi di giurisprudenza e grazie soprattutto a un'appendicite che lo porta alla pittura per ingannare il tempo. Imbarazzando lo stesso amico-nemico fin dall'incontro a casa della scrittrice Gertrude Stein, quel Pablo occhi di carbone e sguardo magnetico, dodici anni più giovane di lui. E pur tuttavia temendo l'ascesa dello spagnolo alla conquista di Parigi e del mondo.

Gertrude ha già scelto Picasso, il cuore del fratello Michael e della moglie Sara batte per Henri. Leo acquista dopo un consulto familiare la “Donna con cappello” di Matisse. «Era ciò che inconsapevolmente avevo sempre atteso – dirà – e l'avrei voluta subito. Ma mi occorsero parecchi giorni per superare quella sua fattura così sgradevole».

Prima di ascoltare i pareri della sorella e della cognata, di quell'opera coloristicamente troppo aggressiva doveva pensare più o meno quello che John Ruskin diceva di James Whistler: un barattolo di vernice gettato in faccia al pubblico. Eppure con quell'acquisto Leo e Gertrude Stein segnano un punto nella storia del collezionismo americano in quanto il russo Sergej Šcukin commissionando “La danza” e “La musica” diventa il mentore del francese più ricercato dai collezionisti colti e d'avanguardia. Lo stesso Pierre, figlio dell'artista, quando gli chiedono se suo padre avrebbe realizzato delle tele così grandi senza Šcukin risponde: «E per chi le avrebbe dipinte?».

A Ferrara fino al 15 giugno la grande mostra “Matisse, la figura. La forza della linea, l'emozione del colore” curata da Isabelle Monod-Fontaine, già vicedirettrice del Centro Pompidou, permette al visitatore di entrare nell'universo fantastico di un genio che – come spiega lui stesso - attraverso il corpo dipinto esprime «il sentimento, diciamo religioso, che ho della vita».

A Palazzo dei Diamanti l'autoritratto del 1900 del Centre Pompidou ci introduce a un'emozione di colori cui l'osservatore dell'epoca non era ancora abituato. Perché non sono relazionati a un qualcosa di reale. E uno sfondo astratto anticipa l'importanza che Paul Klee attribuirà a quello che contiene il contenuto.

Il “Ritratto di André Derain” del 1905, prestito della Tate di Londra, è invece la firma del periodo fauve in cui il colore nei toni puri dà liberamente ritmo alle forme dove un tratto nero ne accentua l'espressività. In fondo il modernismo rappresenta l'interazione fra la luce dell'arcobaleno e le strutture compositive. Nel caso dei Fauves (le Belve secondo la definizione del critico Louis Vauxcelles) senza però alcun riferimento a prospettiva e ombre. Matisse arriva a risultati sorprendenti anche nella scultura. Già nella “Serpentina” del 1909 lavora infatti alla riduzione della figura ad arabesco e la linea sinuosa permea in pittura il “Nudo con sciarpa bianca” dello stesso anno, dando un timbro preciso alle opere successive. E' al culmine dello sforzo creativo.

Se Matisse a Collioure traduce la sua svolta nei paesaggi eseguiti con il colore puro e checchè ne pensi è grande come nella figura, nelle sale del Palazzo ferrarese l'”Odalisca distesa” segna invece la distanza fra lui e l'uniformità del ritorno all'ordine dopo le avanguardie, caratterizzando il periodo nizzardo degli anni Venti come un qualcosa di privato e allo stesso tempo assoluto, ricerca solitaria eppure contributo universale alla modernità. Ma soprattutto il maestro coniuga corpo femminile e grande decorazione attraverso i quali evoca sogni e atmosfere assaporati nell'esperienza in Marocco.

“Ragazze in giardino” del 1919 dipinto a Issy-les-Moulineaux poco prima del trasferimento in Costa Azzurra è il grande preludio. Matisse ritrae la modella in primo piano sdraiata su un tappeto persiano quasi a prefigurare la sua produzione di lì a pochissimi anni. L'artista stesso ammette di essere un po' stanco dopo il grande lavoro fra astrazione dei colori e forma. «Sì, dovevo riprendere fiato, lasciarmi andare con tutta tranquillità e dimenticare le mie preoccupazioni lontano da Parigi. Le odalische erano i numerosi frutti di una felice nostalgia...». E la meravigliosa spossatezza di quelle donne sensuali e imperturbabili, nate quasi in contrapposizione alla genuina complicità con le sue modelle, rappresenta il porto sicuro di un inventore alla ricerca di pace.

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