Le due città che Dipiazza deve governare
La prima vota, l’altra se ne sta lontana dalle urne, quando non protesta davanti all’ormai celebre varco 4 che è diventato il simbolo nazionale di una “rivolta” che con il porto nulla ha più a che fare. A Dipiazza la sfida più difficile, quella di tentare di riconnetterle
TRIESTE Due città in una. La prima vota, si divide democraticamente e incorona Roberto Dipiazza, il sindaco dei record eletto per la quarta volta.
L’altra non vota, se ne sta lontana dalle urne, quando non protesta davanti all’ormai celebre varco 4 che è diventato il simbolo nazionale di una “rivolta” che con il porto nulla ha più a che fare, o quando non manifesta davanti ai palazzi delle istituzioni difesi dai blindati. Due città lontane, indifferenti, se non ostili.
È una giornata strana, quasi distopica, quella che Trieste ha appena vissuto. Se piazza Unità ne è il “cuore”, beh, batte non poco: si anima con i dipendenti comunali che allestiscono la sala stampa per lo scrutinio e i crocieristi, promessa concreta di rilancio, che sorseggiano un “capo in B”.
Sì, i crocieristi, forse ignari che al varco 4, dalla mattina, va in scena uno sgombero. Lacrimogeni, idranti, feriti, slogan che fanno il giro d’Italia. Che scatenano polemiche. Che rattristano il presidente Sergio Mattarella.
Ma intanto in piazza Unità arriva il popolo eterogeneo dei manifestanti No Green pass, così difficile da capire per l’altra città, ammesso che ci sia la voglia di capire. Prefettura, Regione e Comune sono protetti da poliziotti e carabinieri. I disordini, però, si consumano altrove. In periferia, non nel salotto buono.
Sotto il Municipio la sala stampa si riempie di telecamere e giornalisti. È l’ora del verdetto. Vince Dipiazza. Ancora lui. Una città si appassiona, discute dell’effetto sgombero sull’astensione, dei soli tre punti di scarto di Francesco Russo e della vittoria di un forzista, di un berlusconiano della prima ora, nella città che è anche del leghista moderato Massimiliano Federiga. Com’è che Trieste è praticamente l’unica ciambella di salvataggio nel naufragio del centrodestra di Giorgia Meloni e Matteo Salvini?
L’altra città appare insensibile al voto e alle sue letture. Chi è in strada grida contro la dittatura e invoca libertà. Chi non è andato ai seggi, chi ha scelto di non esercitare un diritto democratico, continua imperturbabile la sua vita. Ma è così distante da chi urla, con il suo no al Green pass o al vaccino, tutta la sua rabbia o è figlio di uno stesso scollamento, di un identico smarrimento, di una comune deriva?
La città che ha votato ingloba il 42% dei triestini. L’altra il 58%: vince, e con netto distacco. Dipiazza, al suo (probabilmente) ultimo mandato, si ritrova davanti a una sfida improba ma obbligata: tentare di riconnettere le due città nel momento in cui, paradosso dei paradossi, la fase più dura della pandemia è alle spalle e Trieste potrebbe finalmente spiccare il volo.
Una sfida che investe non solo il sindaco, ma chiunque ha una responsabilità. —
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