Le carte di “Peperino” restano in Procura
TRIESTE I documenti sequestrati il 26 luglio nei ristoranti controllati dalla holding dell’avvocato napoletano Nicola Taglialatela Pikkius Hld Srl - tra cui le pizzerie triestine “Peperino” di via Coroneo e “Marinato” sulle Rive gestite da Pietro Savarese - restano nelle mani dei finanzieri del Comando provinciale delle Fiamme gialle di Trieste guidati dal generale Giovanni Padula, che insieme ai carabinieri del Nucleo investigativo di Udine, sotto il coordinamento del procuratore capo di Foro Ulpiano Carlo Mastelloni e del pubblico ministero Federico Frezza, stanno lavorando per accertare l’effettiva consistenza o meno dell’accusa di reato di riciclaggio aggravato a carico di dodici indagati riconducibili al “gruppo” Taglialatela, per la metà triestini, tra i quali lo stesso Savarese.
Ieri, infatti, si è avuta notizia del fatto che il locale Tribunale del riesame presieduto dal giudice Enzo Truncellito e composto “a latere” dai giudici Massimo Tomassini e Francesco Saverio Moscato, riunitosi lunedì scorso, ha rigettato l’istanza di dissequestro avanzata proprio da Taglialatela per riavere quelle carte. Tra le quali, come era emerso nei giorni successivi alle perquisizioni, figura esserci in particolare un “misterioso” plico di documenti, contenente secondo gli inquirenti una possibile contabilità “parallela” oltre a quella ufficiale, che tra le altre cose potrebbe provare, in caso di riscontri “positivi”, coincidenti cioè rispetto alle ipotesi investigative, l’esistenza di un ponte, da “pizza connection”, fra la decantata oasi felice Trieste e il lato oscuro di Napoli e i suoi dintorni. Un plico chiuso destinato a Napoli, dove alla fine sarebbe arrivato se i finanzieri non l’avessero “bloccato” prima e dove del resto risultano avere la sede legale, il loro quartier generale amministrativo, tutte le varie società che controllano i ristoranti perquisiti il 26 luglio e che sono come detto tutte riconducibili alla Pikkius.
Il dato di fatto, e di partenza, è proprio la decisione, da parte del “Riesame”, di bocciare appunto la richiesta di dissequestro di tali documenti firmata dopo le perquisizioni da Taglialatela, mentre un’analoga istanza di dissequestro fatta contestualmente da Savarese non è stata neppure presa in considerazione dal collegio dei tre giudici in quanto lo stesso Savarese ha optato per tempo, in largo anticipo rispetto all’udienza di lunedì scorso, per la rinuncia a questo tipo di reclamo preventivo. L’inchiesta dunque va avanti - avanti com’è andata fino ad adesso, ovvero nel massimo riserbo - perché il materiale d’indagine rimane sul tavolo degli inquirenti.
Il pronunciamento del Tribunale del riesame può essere però valutato anche in base a quelle che sono, è presumibile, le strategie difensive. L’avvocato del foro di Napoli Raffaele Corrente, il legale che assiste entrambi gli indagati “eccellenti”, spiega in effetti che, al di là della rinuncia formale di Savarese, pure per la posizione di Taglialatela s’è scelto al momento di non pestare sull’acceleratore del diritto.
«All’udienza dell’altro giorno - osserva l’avvocato Corrente - non c’è stata comparizione delle parti in udienza, in sostanza abbiamo lasciato che il “Riesame” rigettasse un’istanza immotivata». Tradotto: nessuno s’è presentato per Taglialatela e in aula non è arrivata neanche alcuna memoria. Motivo? «Abbiamo preferito - chiosa il difensore di Taglialatela - non coltivare l’istanza di dissequestro perché alla fine siamo convinti che, dall’accertamento dei fatti, verrà fuori l’assoluta estraneità rispetto a quelle che sono le contestazioni. Restiamo quindi in attesa di capire le determinazioni degli inquirenti, di conoscere cioè compiutamente l’inchiesta, per poter svolgere la nostra attività difensiva». Tradotto pure qui: non abbiamo nulla da nascondere, ecco perché non ci siamo battuti per riavere le carte.
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