L'analisi dell'ex ambasciatore: «La mia Fiume e l’Istria sapranno diventare un pezzo di Europa davvero senza confini»

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Si definisce un “fiumano patocco” anche se la carriera diplomatica lo ha fatto viaggiare lontano dal Quarnero. Damir Grubiša, classe 1946, è l’ex ambasciatore croato in Italia (2012–2017), oggi insegnante all’American University di Roma. La pandemia e la didattica a distanza lo hanno riportato l’estate scorsa nella sua Fiume natale.
Ambasciatore, com’è stato tornare a Fiume dopo tanti anni?
«A dire il vero, non ho mai interrotto il mio legame con la città. Anche quand’ero a Roma, venivo a Fiume un paio di volte l’anno per le vacanze. Ma dallo scorso giugno, in effetti, sono qui in pianta stabile e continuo i miei insegnamenti online. Ho trovato una Fiume più bella e con più fiducia in sé stessa, grazie al titolo di Capitale europea della cultura 2020, anche se l’anno sfortunato non ha permesso di realizzare tutti i programmi previsti. Mi sembra che la città sia oggi alla ricerca della sua storia perduta e taciuta.»
È per questo che ha tradotto il libro di Giovanni Stelli?
«Anche. È il mio modo per dare un contributo, facendo conoscere la cultura italiana ai croati e viceversa. Ognuno di noi, fiumani vecchi o nuovi, può contribuire a creare una realtà condivisa e un futuro migliore per tutti, perché abbiamo un’identità multipla, europea. Il libro è scritto da un altro fiumano patocco, Giovanni Stelli, e prende in considerazione anche il punto di vista dei croati. Assieme all’editore, la Comunità degli italiani di Fiume, mi piacerebbe presentare l’opera il 15 giugno, per il giorno di San Vito, patrono della città, se la pandemia lo permetterà».
Ha menzionato l’identità fiumana. Che cosa significa per lei quest’appartenenza cittadina?
«Lo slogan del nostro tempo è «Think globally, but act locally», ovvero pensa globalmente ma agisci localmente, per cui l’identità fiumana per me è importantissima. Fu determinante anche per il mio mandato di ambasciatore in Italia. L’allora presidente croato Ivo Josipović mi disse: «Ora mandiamo a Roma un fiumano, perché vogliamo innalzare i rapporti ad un livello più alto. Tu capisci meglio gli italiani e anche loro ti accoglieranno meglio». Fiume si è sviluppata come un crocevia di popoli tra la Mitteleuropa e il Mediterraneo, i Balcani e l’Europa occidentale: essere suoi cittadini significa sentirsi maggiormente cittadini del mondo».
Come la immagina la Fiume del futuro?
«Come una città verde, a misura d’uomo e nuovamente produttiva grazie all’informatica. Penso che la mia città stia riscoprendo il suo autonomismo e che in futuro sarà nuovamente un corpus separatum, una realtà a parte, ovviamente senza arrivare all’indipendenza dalla Croazia. Fiume saprà raccogliere la sua eredità storica e farne buon uso».
Da ex ambasciatore, come guarda oggi alle relazioni italo-croate?
«Penso che stiamo attraversando una nuova fase, molto benefica sia per la città di Fiume che per i due popoli. Il cambiamento è iniziato con l’ingresso della Croazia nell’Unione europea nel 2013, quand’ero ambasciatore a Roma. L’Italia ha fatto molto per arrivare a quel traguardo, è stata in qualche modo un tutor per la Croazia. Oggi i due paesi lavorano assieme per un futuro comune e all’interno della famiglia europea, liberata dalle guerre e dai confini che la dividevano e con l’obiettivo di costruire un’Europa unita e federale».
Fiume e l’Istria rappresentano un punto di incontro tra Italia e Croazia, anche grazie ai tanti imprenditori che investono da ambo i lati del confine. Che consigli si sente di dare loro?
«La mobilità transfrontaliera è un valore che abbiamo conquistato con la lotta contro la divisione del mondo in blocchi ideologici. Dobbiamo incoraggiare i quattro pilastri dell’unità europea: la libertà di movimento di persone, capitali, servizi e idee. E dunque anche il ritorno degli esuli, sotto forma di attività imprenditoriali o come residenti, e l’arrivo di nuove generazioni che scelgono di vivere e investire altrove. Non è ancora molto facile per gli imprenditori italiani: il sistema politico e economico croato rimane complicato, il governo non ha ancora superato certi relitti burocratici e una forma mentis per cui non si sente molto a suo agio con lo straniero, ma per fortuna la gente in Istria e a Fiume, e i governi locali, capiscono meglio la situazione e le esigenze dei propri cittadini».
Quale immagina che sarà il ruolo di Fiume e dell’Istria in questa Europa del futuro?
«Mi immagino l’Istria come una regione senza confini, una regione europea insomma e così Fiume. Hanno tutti i presupposti per diventarlo e per fortuna le forze politiche locali, regionaliste, lavorano in questa direzione, promuovendo la tolleranza a tutti i livelli e la collaborazione tra le varie componenti etniche presenti sul territorio. Continuiamo a far conoscere la Croazia agli italiani e l’Italia ai croati e riusciremo a superare un passato divisivo e a costruire un futuro condiviso». —
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